Riflessione circa lo Studio:
Note
e testi. Intrecci agiografici: eremiti ed altri
del
Prof. Concetto Delpopolo
In “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa” pp. 119-149. Torino, 2007.
Impressioni empatiche di un netino e devoto di San Corrado
Trovo
culturalmente molto interessante questo originale e
scientificamente elaborato studio [‘articolo’ dice
l’Autore], che si sofferma e sviluppa in particolare su
l’eremita piacentino San Corrado Confalonieri patrono della
città e diocesi di Noto,
«Sono
trenta pagine, delle quali la maggioranza destinata appunto a
San Corrado e al testo originale della sua ‘Vita’»,
mi informa compiaciuto l’amico Umberto Battini di Calendasco
piacentino, anch’egli devotissimo del santo eremita,
trasmettendomi per e-mail il testo, da lui ricevuto dallo
stessoProf. Delpopolo filologo e docente all’Università di
Torino.
Il
Delpopolo confessa che lo spunto di questo suo articolo
risale al 1997, quando Enrico V. Maltese gli fece dono de «La
‘Vita’ del beato Corrado Confalonieri tratta dal codice
dell’archivio capitolare della Cattedrale di Noto. Edizione
critica con introduzione, traduzione, note e indici a cura di
Carmelo Curti. Fidapa sezione di Noto, 1990» (v. pag.119).
Altro testo-guida dell’illustre filologo è stato
soprattutto il libro di Filippo Rotolo «Vita beati Corradi.
Testo siciliano del XIV-XV secolo. Introduzione e note.
Precisazioni sulla vita di S. Corrado e suo itinerario
spirituale. Presentazione di Salvatore Guastella. Noto-Palermo,
1995» (v. pag. 130 nota 46). Questo studio di Rotolo è
infatti corredato da un’ampia introduzione sui codici A e B
della ‘Vita beati Corradi’, di ampie note storiche e
filologiche e affronta scientificamente il problema della
datazione, della genesi, dell’autore e del valore della ‘Vita’,
mettendola in confronto con le biografie del Venuto, del Rapi
e del Littara, e chiarendo alcuni problemi di forma e di
contenuto. Avere voluto io pubblicato presso la tipografia
Graf-Roma questo prezioso studio dell’amico francescano
conventuale, è stato l’omaggio al Santo in occasione del
mio 50° sacerdotale.
Come dicevo, è soprattutto sulla traccia del libro di Rotolo che il Prof. Delpopolo ha magistralmente sviluppato i riferimenti filologici su San Corrado - (in 18 pagine su 31 di testo) - nel corposo articolo «Note e testi. Intrecci agiografici: eremiti ed altri».
Pertanto
l’Autore così inizia: «Nelle vite dei santi spesso si
trovano episodi che sembrano vicendevolmente calchi…per
emulazione e devozione; del resto il modello ultimo è Cristo,
al quale ogni santo si ispira, e l’agiografo cerca e,
cercando, trova un numero sempre maggiore di exempla per
il proprio eroe: imitatio Christi per sanctos». E
subito, alla nota 2, egli confessa: «lo spunto di questo
articolo risale al 1997 quando Enrico V. Maltese mi ha donato
la “Vita” del beato Corrado Confalonieri», pubblicata da
Carmelo Curti nel 1990. Poi prosegue facendo notare i tanti
intrecci agiografici che si riscontrano in tanti episodi di
interscambio fra i due ordini religiosi (Francescani e
Domenicani): «chi ha dimestichezza con l’agiografia ne è
pienamente consapevole» commenta, e aggiunge: «Ricorderò
soltanto, trattando prima del Poverello, il sogno di Innocenzo
III, dipinto nel ciclo di Assisi, in cui si vede Francesco che
sorregge la cadente basilica del Laterano. Ora è noto che i
domenicani narrano lo stesso episodio, ma il protagonista è
Domenico»
L’Autore
passa quindi alla «lettura sempre più precisa del codice Vita
beati Corradi» ed esprime originali intuizioni di
comparazione ben condivisibili, come le seguenti:
-
In merito all’autore anonimo del codice ‘Vita beati
Corradi’ così chiosa: «Nel Prologo si legge: “Incipit
vita beati Corradi […] quistu homu beatu Corradu”: il
nome del beato congiunge i due estremi. Il titolo sacro
sparisce subito dopo nel cap. I: declarata la patria (fu di
Lumbardia), ci si sposta nel passato dell’uomo, che
diventa misseri Corradu, o misseri Corrau. Il
titolo ‘umano’, che ne indica la condizione di nobiltà,
è ripetuto sempre fin quando Corrado resta nel secolo; poi,
dopo che è ricevuto fra i servituri di Deu, si muta in
frati Corradu, che nel corso dell’opera si alterna
con beatu Corradu. Quando invece a lui si rivolgono i
devoti, lo chiamano sempre: patri. La costanza
[dell’anonimo] pare frutto di chi sapeva come utilizzare i
titoli secolari e religiosi». Invece, mentre il Curti «esclude
ogni conoscenza biblica dell’anonimo» non ha una cultura
specifica né teologica nè biblica», il Rotolo «con più
accurata analisi costruisce una pagina di citazioni dirette e
indirette che ne riscattano la presunta ignoranza biblica».
Il Prof. Delpopolo aggiunge: «l’autore [anonimo] non era un
semplice orecchiante di argomenti sacri ed era conoscitore
anche della retorica e, direi, buon narratore e vivace» (pp.
133-134).
-
«Per l’aspetto narrativo riporto un esempio. Quando il
vescovo di Siracusa va a trovare il frate, avendone sentito la
fama, egli con il seguito entra nella cella di Corrado, dove
un conciso elenco ci indirizza alla conclusione: “non chi
trovaru lectu né pani, ecceptu unu cucuzzuni”. Non è
gratuita l’ispezione perché, quando siederanno a tavola con
il cibo portato dal vescovo, Corrado dice “Aspectati,
quantu vayu perfina a la chella”: da lì reca quattro
pani caldi, che offre agli ospiti. La sorpresa, essendoci
stato prima un controllo, diventa miracolo, tanto che il
vescovo se ne torna consolato e più convinto della santità
del frate» (p.135).
-
«Dicevo di fonti. Un episodio in particolare, quello della
tentazione sulla carne, espressione oggi ambigua, che
nel nostro testo vale ‘volere mangiare carne’; la lussuria
non è la tentazione per eccellenza per questo santo, che, pur
seguendo Benedetto (ed aggiungo Francesco del roseto di S.
Maria degli Angeli), si getta fra le ortiche e i rovi non per
domare il corpo, ma per superare la tentazione del cibo, nel
caso specifico una ghiottoneria, trattandosi di fichi
primaticci. L’archetipo sembra quello della nuova nascita:
nato fra le spine come una rosa, secondo un topos
comune all’agiografia, partendo da Ilarione. (…) Il cibo
è, dunque, la fortissima tentazione del servo di Dio, poiché
il “formagi russu”, la “bona gallina grassa”, la
cassata di fave e farina d’orzo che farà andare a male, i
fichi primaticci che desidera; proprio questa tentazione viene
superata fra le spine, ne segnano l’itinerario spirituale; e
ci saranno i miracoli in cui il cibo è protagonista. Anzi, la
prima cosa che il santo eremita, giunto al luogo che gli è
donato, fa, è: “plantau dimulti arbori et viti”; poi se
ne allontana per l’accorrere dei fedeli e va “fora di la
terra di Nothu et andau a lu desertu”, dove c’era una cava
e lì costruisce il suo locus amoenus, perché
“incominzau […] ad hedificari unu jardinu multu bellu et
illocu plantau arangi et multi pedi di nuchi et di pira et
multi lignagi di specii di viti”». E in nota Delpopolo
commenta: «Queste coltivazioni sembrano fare da contrappasso
alla devastazione dell’incendio, causa della conversione:
“lu focu […] arsi multi arbori et campi et vigni et
jardini”» (pp. 136-137)..
-
Interessante la seguente riflessione dell’Autore sul “pane
caldo” dell’eremita dei Pizzoni: «Per Corrado il cibo era
poco pane, quasi niente, e beveva acqua e raramente vino, ma
durante le quaresime solo “favi et chichiri et lintichi et
altri ligumi” e non beveva vino. Scorrendo i vari episodi
che compongono la Vita, sembra di avere un denominatore
comune: pane per i poveri durante la carestia, pane miracoloso
per il vescovo che va a trovarlo, i pesci, a mangiare i quali
era stato invitato, sono divorati dal gatto, la miracolosa
sostituzione della carne di maiale con pesce, per l’inganno
che gli volevano fare; ancora pane che scende dal cielo, che
Corrado offre ai giovani che lo volevano bastonare, non solo
perdonandoli con la frase evangelica di Lc XXIII 24, ma
addirittura difendendoli davanti al giudice con una vera restrictio
mentalis; e pane caldo, sempre miracoloso, è dato dal
santo ai giovani che lo avevano aiutato a rimuovere un masso
enorme dalla sua grotta; infine il pane, sempre celestiali,
‘moltiplicato’ per dare aiuto a uomini e donne e bambini
durante la carestia a Noto. Persino il paragone dell’ernia
del bambino, che lui guarisce nel primo miracolo, è fatto col
pane (“li testiculi multi grossi, cussì comu pani”)»
(139).
-
L’illustre filologo conclude con uno sguardo panoramico sul
santo eremita dei Pizzoni: «La vita di Corrado ha uno
svolgimento regolare e direi cronologico, con l’avvertenza
di non prestare rigido valore alla parola nel susseguirsi di
tutti i fatti. Dopo il prologo che attesta la veridicità
della narrazione, segue lo schema canonico delle vite dei
santi: luogo di nascita senza indicazione temporale;
condizione sociale elevata e vita spensierata nel secolo,
quasi condicio sine qua non per la santificazione; bontà
di animo di messeri Corradu e nobiltà della sua azione
nel proclamarsi colpevole; spoliazione coatta delle cose del
mondo e conversione, perché va a serviri Deu in una
comunità, dove apprende dottrina e riceve abito religioso;
pellegrinaggio a Roma e viaggio in Sicilia, allontanandosi così
dalla propria terra; scelta di Noto e di un primo romitorio in
un luogo datogli da un amico, dove, fra le fatiche, cresce in
virtù, tanto che troppa gente va a visitarlo; si parte perciò
e va “illà undi Deu ordinerà”: la volontà di Dio è
quella che prevale. La sua vita diventa ancora più aspra e
dura, la fama si espande, poiché i fedeli ne raccontano i
miracoli; lui riceve tutti benevolmente, consolandoli e talora
operando altri prodigi. La vita però non si svolge sempre
nell’eremo, nella grotta scelta, poiché ogni tanto, come
gli antichi padri del deserto, si reca in città. Proprio a
Noto avviene il primo miracolo, operato col segno di croce e
con l’imposizione delle mani e poi sfugge al ringraziamento
degli uomini, nascondendo il volto, e torna nella spelonca a
lodare Dio e a “ffari soy humilimenti”; anche qui la virtù
è affidata ad un avverbio. Poi si succedono tre miracoli:
quello dei fiaschi di vino (san Benedetto dei Dialoghi ne
è il padre); quello del devoto salvato dal thronu (‘tuono’),
quello del ragazzo liberato dal dirupo dove Satana lo aveva
condotto con inganno; gli episodi si chiudono con preghiere,
benedizioni, buone raccomandazioni». E poi conclude: «Dall’insieme
risulta rivalutato l’anonimo agiografo che acquista qualche
merito come narratore.» (pp. 148-149).
Al
Prof. Concetto Delpopolo dobbiamo ed esprimiamo immensa
gratitudine.
Per
comprendere meglio questo suo interessante studio filologico
in riferimento alla ‘Vita’ di San Corrado Confalonieri -
il quale visse e morì il 19 febbraio
Salvatore
Guastella