660° della morte di San Corrado Confalonieri
(1351 – 19
febbraio – 2011)
Noto
è indicata come la
Città di San Corrado, l’eremita
piacentino che là visse nella grotta dei Pizzoni in
preghiera e penitenza, largo a tutti di aiuti e di
consigli spirituali, di intercessione, di profezie e
miracoli sino al giorno della sua
morte.
La
“Vita
Beati Corradi” (testo siciliano del sec.
XIV-XV che si custodisce nell’archivio capitolare della
Cattedrale) è fonte primaria della cronologia ragionata
della vita del Santo. Ecco quanto ci tramanda sul suo
beato transito: «Ora, essendo venuto il tempo che il
beato uomo voleva rendere lo spirito a Dio, egli lo
rivelò ad un suo devoto. Ed un giorno gli venne questo
suo devoto e (Corrado) gli disse: ‘Figlio,
quando fanno
tempeste, sta bene con Dio’. E disse:
‘Figlio, io ti
voglio rivelare la mia fine e voglio che tu sia segreto
e non la rivelare a nessuno fino a dopo la mia morte, e
voglio che tu sia segreto. Quando io trapasserò da
questa vita, tu darai il mio corpo alla sepoltura, ché
nessuno lo potrà toccare se non
tu, figlio mio’.
E udendo queste parole, l’amico prese a piangere e
disse: ‘O padre,
come mi lascerai sconsolato?’ Disse il beato uomo:
‘Fratello, abbi tu
pace, ché questo non può rimanere, e farai ciò che io ti
ho detto. E quando io trapasserò, Noto e Avola andranno
in rumore, ché verranno quelli di Noto e quelli di Avola
per il mio corpo e lo vorranno pigliare e mettere a
sepoltura; e non lo potrà prendere nessuno di loro eccetto tu, figlio, e
a te lo raccomando’. E quando il buon amico udì
questo, molto aveva dispiacere con dolore. E venuto il
tempo e il giorno che il beato Corrado doveva
trapassare, egli andò alla sua grotta e si mise, come
soleva stare, in orazione e incominciò a fare orazioni a
Dio umilmente in ginocchio e alzò il capo a Dio e disse:
‘Onnipotente Dio,
ti raccomando l’anima mia e di ogni creatura; liberami,
Signore, dalle mani del demonio, ché io non vada a
vedere i nemici, i quali si tormentano nell’inferno; o
Signore, stendi la
tua mano e dammi
aiuto’. E sopra di lui fu grande luce; il beato uomo
rese lo spirito a Dio… Nell’anno dell’Incarnazione del
Signore 1351, in cui si partì da questa vita».
Quanto ci
tramanda la 'Vita Beati Corradi'
rileggiamolo alla luce della ricostruzione fisiognomica
eseguita nel 1989 dall’Istituto di paleontologia
dell’Università di Pisa:
«Corrado, ormai prossimo ai 60 anni, mostra un aspetto senile accentuato
dalla barba canuta e dalla perdita quasi totale dei
denti, oltre a un generale decadimento fisico, causato
dalla notevole umidità dell’ambiente e dal rigore
penitenziale. L’esame medico del suo corpo ha anche
evidenziato
tracce di ascessi e granulomi ai molari e di artrosi
(vertebrale e articolare), che gli hanno causato
ricorrenti atroci sofferenze. Tuttavia si può ritenere
che egli conservò, fin quasi alla fine,
una sostanziale validità fisica, e che pertanto
continuò ad andare ( come era sua abitudine) ogni
venerdì a Noto, percorrendo a piedi (fra andata e
ritorno) circa 9 km di disagevole viaggio. Poiché
Corrado era solito andare a Noto – come si è detto - il
venerdì, una sua assenza
sarebbe stata notata in città e avrebbe allarmato
i suoi devoti. Quindi c’è da pensare che l’ultima volta
che andò in città fu venerdì 11 febbraio. Pertanto il
decubito che lo costrinse
in grotta ebbe inizio dopo l’11 febbraio e si
protrasse non più di una settimana: tempo sufficiente
per spiegare quella piaga al tallone sinistro, osservata
dai citati esami paleopatologici».
Comunque, la mattina di quel 19 febbraio, Corrado
possiede ancora perfetta lucidità di mente ed è in
condizione di muoversi e mettersi a pregare in ginocchio
sulla nuda roccia. Quando il Santo piacentino comprende
che il suo momento è arrivato, si inginocchia dinanzi al
Crocifisso per un’ultima preghiera:
“Onnipotente Dio,
ti raccomando l’anima mia e di ogni creatura;
ecc.”. La tradizione vuole che egli rese lo spirito restando
inginocchiato, come fosse ancora vivo.
L’agiografo conclude:
“E sopra di lui fu grande luce; il beato uomo rese lo spirito a Dio”,
restando inginocchiato come fosse ancora vivo. Dovevano
essere le ore 10 del mattino, se il basso sole invernale
illuminò la parete interna della grotta esposta a
levante nella cava dei Pizzoni. E’ questo, con buona
probabilità, il senso di quella 'grande
luce' che illuminò la grotta al momento del suo
trapasso.
Dal 13 febbraio 2011 ormai
in Cattedrale rifulge luminosa anche
l'espressione di fede e arte pittorica negli affreschi,
realizzati da due massimi artisti:
nella cupola, La Discesa dello Spirito Santo a
Pentecoste (di Oleg Supereco) e nelle vetrate del
tamburo: i Sette Sacramenti (di Francesco Mori).
19 febbraio 1351. Il Santo, partendo, ci
lascia uno splendido solco di luce che ne perpetua nei
secoli la memoria. Egli vive sempre con noi nelle sue
virtù, nel suo eroismo, nei suoi portenti. Da quel
giorno è una gara incessante tra protetti e patrono.
Basterà il suo nome e il fulgore della sua vita
esemplare a sostenere viva la fede negli animi.
Oggi le parole che più contano sono quelle della
telematica, dell’informatica, delle armi, dei colloqui
tra grandi, delle ideologie, del listino di borsa, della
pubblicità, dei maghi di tutti i calibri. Per fortuna ci
sono milioni di persone che continuano a credere
imperterriti nel peso, nel valore e nella forza degli
ideali di fede. Individui che prendono sul serio la
libertà cristiana per servire i fratelli oltre le
parole. Proprio come seppe fare 660
anni fa il nostro Santo Patrono.