D E V O Z I O N E 2014
Piacenza articolo di martedì 18
febbraio 2014
|
IL TESTO DELL'ARTICOLO DI UMBERTO BATTINI
Articolo tratto da LIBERTA’ quotidiano di Piacenza
del 18 febbraio 2014 – martedì
CORRADO CONFALONIERI
Incendiario, ma Santo
di
Umberto Battini
Dal medioevo emerge ogni 19 febbraio la
memoria di quel grande uomo e santo piacentino che è Corrado
della casata Confalonieri.
Se della sua nascita, ritenuta nel 1290 nel
castello di Calendasco, ove era feudatario, ormai ne segna
certezza il documento vescovile di Piacenza del 1617, altri
aspetti meritano divulgazione. Molti storici religiosi dei
secoli scorsi si sono occupati del nostro Eremita ed in maniera
alquanto informata.
Oltre alla nascita, un fatto storico certo è
il luogo ove si ritirò da penitente quando, dopo aver causato
l’incendio durante la caccia, fu condannato circa nel 1315 da
Bernabò Visconti ad un risarcimento che lo portò alla povertà
totale. Venne cancellato dalla memoria della casata
Confalonieri; i suoi successori, però, restarono feudatari del
borgo padano ancora per lunghi decenni, come attestano carte in
archivio.
Il luogo scelto dal Confalonieri per scontare
la sua colpa era un ospedale e romitorio di terziari laici
francescani, ricordato dal Wadding negli Annales Minorum:
“…vestito da eremita
volse i suoi passi a un certo luogo solitario, detto con nome
antico e non più in uso Gorgolare…”. Questo ospedale romitorio è
ricordato anche dallo storico Bordoni, già nel 1568 dal Puglisi
e dal Littara, entrambi di Noto,
dall’insigne De Sillis e da altri storici del francescanesimo di
fama attuale quali l’Andreozzi, il Pazzelli, il Luconi ed il
Parisi.
A onore del vero, il libro dello storico
piacentino Campi sulla Vita del Santo del 1614, per ammissione
dello stesso autore, rimane un’agiografia incompleta, che si
rifà al testo di Vincenzo Littara di Noto, pubblicato postumo
nel 1608 ed inviato dai Giurati netini a Piacenza nel 1610.
Proprio il Parisi, che fu anche Ministro
Generale del Tor francescano, scrisse molto ampiamente di
Calendasco, citando addirittura della sua amicizia da storico
nel 1959 con l’arciprete don Federico Peratici e di quando venne
personalmente a vedere questi luoghi.
Grazie ad un prezioso documento detto
dell’“anonimo di Montefalco”, rinvenuto e pubblicato dall’Andreozzi,
possiamo storicizzare il romitorio calendaschese “del gorgolare”
e collegarlo nientemeno con i Terziari francesi di Tolosa.
A capo di questo ospizio per pellegrini in
Calendasco, su quella che oggi riconosciamo come via francigena,
era da un trentennio frate Aristide, notizia comprovata dal
fatto che, nel 1295, fu chiamato a costruire il convento di
Montefalco in Umbria di quella convertita che poi diverrà S.
Chiara.
Circa il nome che era stato tramandato, cioè
ospedale “del gorgolare”, era dovuto al fatto che non molto
distante vi erano il mulino e l’acqua del rivo Confaloniero che
faceva una curva a gomito, rovinava, producendo un continuo
rumore detto gorgogliare; ancora oggi è verificabile anche se il
grande canale nel tratto del paese è stato intubato ed il mulino
è chiuso da anni.
Dell’edificio che ospitò San Corrado a
Calendasco rimangono tracce in antiche mappe ed anche in carte
notarili del 1600 ove “l’hospitio dicti loci calendaschi” ed il
suo portico servirono come luogo moralmente utile alla stipula
di contratti.
Nella parte più antica del romitorio, quella
che vede contenere anche il maestoso pozzo incamiciato in
laterizio a livello pavimentale, si riconosce l’antica
fondazione longobarda, ospizio per i pellegrini diretti al
vicino traghetto del fiume Po.
Interessante anche collocare il nostro Santo
negli accadimenti di Piacenza in quel medioevo che risale ai
primi anni del 1300. Come detto, Corrado stesso incorrerà nelle
ire del Visconti dopo aver causato quel devastante incendio;
sulle prime, quel fatto fu visto come uno sfregio alla parte
ghibellina, fino a che fu appurato che la causa era dovuta a una
battuta di caccia.
Nello stesso periodo a Piacenza si respirava
un’aria di tensioni, riguardanti ad esempio un certo numero di
templari, stabilitisi presso la chiesa di S. Maria del Tempio
accanto a S. Giovanni in Canale; nel 1307 si aprì la causa
inquisitoria verso questi frati-cavalieri che si concluse con la
soppressione amministrativa nel 1312.
Alcuni templari piacentini furono processati
a Ravenna nel 1310 ed assolti, ma il clima cittadino non doveva
essere dei migliori se, sempre in quegli anni, nel territorio
piacentino andava a caccia di eretici dolciniani frate Lanfranco
di Pavia.
Inoltre, mentre Corrado l’incendiario
iniziava il suo percorso di terziario e penitente, nel 1318
pendeva sulla testa dei francescani dissidenti, detti
Spirituali, una scomunica da parte di papa Giovanni XXII;
accadde così che l’abito grigio usato dai penitenti laici
terziari, come quelli nell’ospedale di Calendasco, poteva essere
confuso con quello di quei frati Spirituali.
Immaginando il nostro Corrado al lavoro in
questo luogo, ove tanti pellegrini e viaggiatori potevano
trovare breve sosta ed alloggio prima o dopo il passaggio del
fiume Po, saranno giunte notizie circa i frati dissidenti
fuggiti dalla Toscana in Sicilia, la terra che alfine lo
accoglierà con più attaccamento.
Lo stesso papa dovette fare anche un’altra
bolla nella quale diceva di non fare alcun male ai terziari
penitenti francescani perché ingiustamente confusi con gli
eretici e questo testimonia la necessità di far smettere una
persecuzione cui erano sottoposti.
San Corrado, dopo qualche anno di servizio,
partirà da Calendasco pellegrino itinerante verso Roma e poi
fino alla Terra Santa, luogo massimo di espiazione.
Una scelta forse dovuta al fatto che le
fraternità terziarie, come quella attiva in Calendasco, stavano
ancora cercando di trasformarsi in un vero e proprio Ordine
Regolare ma con tante controversie, non ultima la disputa con
l’ordine dei frati minori che voleva sottomettere a sé questi
penitenti.
La partenza dal territorio piacentino è
ipotizzata circa al 1325 e lo ritroveremo storicamente accertato
in quel di Noto nel 1343 come bene analizza in uno studio netino
lo Zappulla.
Ma in quel ventennio del quale di San Corrado
si perdono le tracce, dove visse e cosa fece?
Ipotesi storiche portano a pensare appunto al
suo viaggio ad Assisi, quindi a Roma e poi fino a Gerusalemme;
in quegli anni lo immaginiamo sostare presso comunità a
vocazione eremitica perché quella sarà la spiritualità forte e
decisa che vivrà negli ultimi anni della sua vita bene
documentata, basti vedere la grotta inglobata nel Santuario
nella valle di Noto.
Oltretutto il nostro Piacentino, visto il suo
trascorso di nobile, senza dubbio sarà stato padrone della
scrittura e della lettura e non gli sarà stato difficile saziare
il bisogno di ricerca interiore, accostandosi a letture
religiose.
Il viaggio a Gerusalemme può essere
storicizzato anche dal fatto che, per un certo periodo, si diede
a vita eremitica sull’isola di Malta, luogo di sosta delle navi
provenienti dalla Città Santa.
Si stabilì in quel di Casal Musta nella cava
Vied el Axsel (fiume di miele), ma non fu accolto benignamente
dalla popolazione locale. Infine fu in malo modo e con menzogna
cacciato da quel luogo del quale si tramanda la prodigiosa fuga
via mare fino in Sicilia steso sul proprio mantello; i maltesi a
lui più devoti ricordarono questo fatto in due grandi tele che
raffigurano questi episodi.
La sua meta divenne quindi la Sicilia, terra
eletta di comunità eremitiche sullo stile orientale, fatto
dovuto anche alla sua morfologia che mostrava gruppi montuosi
ove era facile ricavare grotte in anfratti isolati.
Dopo una peregrinazione, il nostro Piacentino
giunse finalmente nella città di Noto e qui venne subito accolto
con umanissima cordialità presso l’ospizio di San Martino.
Infine lo ritroviamo isolato nella grotta
della Valle dei Tre Pizzoni (tre piccole cime) immerso in una
vera e propria vita solitaria, anche se di tanto in tanto si
portava a Noto per assistere alla santa messa, per confessarsi e
ricevere la comunione; in quella grotta morirà il 19 febbraio
del 1351.
Nel processo testimoniale del 1485 sono
raccolte decine di deposizioni di miracoli dovuti al Santo, che
già erano copiosamente narrati nella sua Vita più antica, ma
come descrive il Parisi: “Il forestiero e il pellegrino che oggi
mettono piede in Noto, rimangono vivamente colpiti dalla
straordinaria devozione che si nutre verso S. Corrado”.
Il piccolo borgo di Calendasco custodisce,
visibili ai fedeli, i monumenti simbolo di questo santo quali il
maestoso castello, la chiesa ove certamente fu battezzato e
l’ospizio-romitorio punto di svolta di tutta la sua vita e
fieramente da oltre quattro secoli la comunità lo ha eletto
Patrono ed ogni anno alla festa viene rinnovata la Supplica.
Anche la città di Piacenza ormai da
quarant’anni ha voluto riscattare questa bella figura di santo
eremita dedicandogli una moderna chiesa parrocchiale: uno dei
tanti uomini del nostro medioevo che meritano attenzione per la
forte radice culturale e spirituale che parla a noi moderni.
Umberto Battini
|