di UMBERTO BATTINI
Un capitolo storico rilevante della difficoltosa
ricezione della fama di santità di S. Corrado nella
terra piacentina ed in particolar modo proprio nel borgo
che gli diede i natali fisici nel 1290 dentro al
castello di Calendasco, è dovuta alla ostilità dei duchi
Farnese di Piacenza.
Con l’omicidio nel 1547 di Pierluigi Farnese al quale
partecipò il Confalonieri feudatario di Calendasco la
nobile casata si vide negare gli onori che a Piacenza un
avo salito alla santità avrebbe portato, i Farnese per
vendetta fecero cadere un oblio che si protrasse fino ai
primi anni del seicento, quando la loro vendetta potè
dirsi consumata vedendo il congiurato esiliato a Milano
e depredato di tutti i diritti di feudalità su
Calendasco.
E’ un nuovissimo capitolo storico che si sta
approfondendo con successo di documentazione che merita
senza dubbio di entrare nel discorso relativo alla
notizia di santità dell’Incendiario di Calendasco, e ciò
ha inizio tra Noto e Piacenza nel lontano 1610 quando i
Giurati di quella città sicula scrissero tre lettere,
ognuna di tenore diverso, appunto una al Duca Farnese ed
altre al Vescovo e ai Giurati di Piacenza. Proprio in
queste ultima lettera si fa esplicito riferimento ad un
dato conosciuto già da loro a Noto cioè scrivono di
sapere che lo stesso S. Corrado fosse stato a suo tempo
possessore del castello e feudo di Calendasco e
chiedevano che si facessero ricerche in archivio.
L’approfondimento storico lo fecero i Giurati di
Piacenza che nel 1611 scrissero a loro volta a Noto
comunicando ciò che avevano rinvenuto allegando una
“informazione circa l’Illustre Famiglia Confaloniera et
della moglie di S. Corrado” e ovviamente, loro come
reggenti la città di Piacenza soggetti direttamente al
Duca, si guardano bene dal rispondere ad una delle
domande principali cioè se il castello di Calendasco
fosse stato dimora del Confalonieri non ostante da
alcuni secoli e fino al 1586 i Confalonieri fossero
stati effettivamente feudatari di quel luogo ed era una
cosa risaputa.
A risolvere la questione storica con coraggio ci penserà
lo stesso vescovo di Piacenza mons. Claudio Rangoni che
partecipa di persona alla stesura per mano del notaio e
Cancelliere della Curia Episcopale Giovan Francesco da
Parma, dell’ormai noto Legato Sancti Conradi del 9
agosto 1617 nel quale oltre a leggersi nelle primissime
righe che la nobile famiglia Confalonieri era da secoli
feudataria del borgo di Calendasco, riporta che nello
stesso luogo S. Corrado vi era nato fisicamente “ex
eodem loco iste Sanctus, ut praefertur originem terrenam
duxerit.”.
Mons. Rangoni mette per iscritto che tutte le predette
cose loda, approva e conferma e dalla pienezza della sua
autorità Episcopale firma e decreta su quanto contenuto
e precisato nel documento diplomatico notarile che
riguardava la fondazione nella chiesa di S. Maria di
Calendasco di una cappella ed altare dedicati a S.
Corrado, voluta dal conte Giovan Batista Zanardi Landi
successore dei legittimi titoli che erano della famiglia
Confalonieri, ramo primario di diretta discendenza del
Santo Corrado ed ora esiliati.
Insieme alle tre lettere arrivate da Noto era allegato
il libro della Vita di S. Corrado scritta dal Littara
che fu utilizzata di sana pianta dal canonico Campi per
dare alle stampe tra 1611 e 1614 un agiografia del Santo
Piacentino, testo nel quale lo stesso autore asserisce
di aver attinto completamente dal Littara e nelle prime
pagine prova a porre alcune ipotesi quali il luogo
dell’incendio a Travazzano presso le Case Bruciate di
Celleri ma una pergamena del 1589 conservata in archivio
di Stato a Parma ha fatto conoscere una vastissima area
agricola coltiva, a pochi chilometri dal feudo di
Calendasco denominata “la Bruciata” toponimo che
richiama ad un antico vasto incendio quale appunto forse
quello del Cacciatore Corrado.
Ma lo stesso Campi appena dopo la pubblicazione del
testo così come gli chiedevano i Giurati di Noto,
ammette in una sua lettera contenuta in un manoscritto
parmense che la Vita del Santo da lui scritta “parimente
si dovrà ristampare… sì per correggere in essa alcuni
particolari, ivi notati…”.
E’ fuori di dubbio che il volume del Campi in Sicilia
non trovò grande riscontro in quanto ricalcava come
detto la Vita già pubblicata a Noto e scritta dal
Littara, mentre ci si aspettava un approfondimento
preciso sul S. Corrado vissuto negli accadimenti storici
piacentini tra 1290 e 1323 anno della partenza
dall’ospizio-convento di Calendasco che lo accolse nel
1315 come penitente francescano dopo che fu ridotto sul
lastrico dalla confisca operata da Galeazzo Visconti per
riparare del danno dell’incendio.
Già in questo anno 1315 pensiamo con ragione che sia
stata operata una prima damnatio memoriae da parte della
sua stessa famiglia che venne disonorata e messa
maggiormente alla mercè del despota Galeazzo che era
nemico avverso alla chiesa piacentina, ma la
documentazione ci mostra che i Confalonieri poterono
continuare il loro dominio sul territorio di Calendasco
in quanto Capitani vescovili ed erano il ramo della
casata discendenti di S. Corrado, tra i Maggiori della
città mentre il ramo che aveva infeudate le aree quali
Celleri e la frazione Torre Confalonieri era minore e
detentore di pochissimi titoli.
La causa principe che portò alla cancellazione della
memoria e della fama di santità in terra piacentina del
Penitente fu causata nel 1547 da Giovan Luigi
Confalonieri di Calendasco, che fu uno dei congiurati
che partecipò all’omicidio di Pier Luigi Farnese, figlio
di papa Paolo III.
Dai documenti ufficiali della confisca operata dai
Farnese sui quattro congiurati, quelli riguardanti il
Confalonieri sono relativi a Calendasco ed al castello
il cui feudo era condiviso con i suoi fratelli, cioè il
Confalonieri omicida aveva dimora principale nel
castello e la sua abitazione di Piacenza posta nel
quartiere di S. Eufemia risultava data in affitto,
testimonianza questa che oltre a farci sapere di ragioni
politiche, ci fa comprendere che l’obbligo imposto ai
Nobili dal Duca Farnese di abitare in città almeno sei
mesi all’anno, non era benevolmente accolta.
In effetti questa casata amava abitare nel maniero del
borgo natale di S. Corrado, lo testimoniano documenti e
accadimenti quali l’assedio del castello del 1482
e un omicidio nel 1572 oltre al fatto che ad
esempio non esitarono di stipulare con il parrocco del
paese la cessione di loro terreni fertili in cambio di
altri soggetti a inondazione, risulta insomma un maniero
vivo sotto molti aspetti propri di quei secoli ed ancora
nel 1584 risultano feudatari “bonis et juribus loci
Calendaschi” non ostante la confisca farnesiana sia
incombente.
Ci vorranno ben trentanove anni ai Farnese per arrivare
alla confisca sul Confalonieri quando nel 1586 sarà
costretto ad andare a vivere a Milano ove sarà fatto
Capitano di Giustizia e portando con sé la somma
cospicua della vendita della sua parte di castello e
terre al conte Landi.
Fino a quelle lettere dei Giurati di Noto del 1610
nessuna notizia riuscì a trapelare sul Santo Corrado che
già da ormai quasi tre secoli era venerato in Sicilia ed
i Farnese ostili ai legittimi successori del Santo,
appunto per l’accadimento narrato, ce la misero tutta
per ostacolare la diffusione del culto nel piacentino e
particolarmente proprio a Calendasco terra natale del
Santo ma sfortunatamente luogo ove abitava da quel 1547
l’assassino di Pierluigi Farnese.
Una prova è anche data da una lettera dello stesso
Farnese che scrive a Noto informandoli che la copia di
documenti che doveva far giungere a Roma per perorare
circa la causa sul Santo, era andata sfortunatamente
persa e se ne dispiaceva molto, ed in questo fatto,
letto secondo gli accadimenti storici che oggi possiamo
più precisamente sapere, riconosciamo un modo
diplomatico per frenare il culto: fino a che un
Confalonieri sarebbe stato in Calendasco mai i Farnese
avrebbero permesso la diffusione del culto specialmente
e soprattutto nel borgo.
Con il 1600 quando ormai il Confalonieri congiurato è
stato mandato in esilio e la casata con titoli minori
rimane tranquilla e silente al suo posto nel piacentino,
il Farnese comincia ad aprire al culto in Piacenza, non
in Calendasco, fino all’azione vescovile del 1617 con il
Legato corradiano. Ma sarà sempre lo stesso vescovo di
Piacenza con Luigi Confalonieri che spalancheranno la
porta al ritorno del Santo in Piacenza con la richiesta
della reliquia ai netini e l’erezione della cappella con
gli affreschi della volta realizzati nel 1613 dal
Galeani di Lodi. Ma è da notare che ritraggono solo gli
accadimenti della Vita del Santo svolti a Noto, nessun
accenno a quelli piacentini dell’incendio, anche se già
il “ritorno” in Cattedrale è un segnale importante
perché è come se lì il culto per S. Corrado fosse
protetto ed intoccabile dalle ostilità farnesiane,
nell’attesa di poterlo riportare sulla strada della
verità storica.
Solo nella chiesa di Calendasco, ed in nessun altro
luogo al mondo, si pose una pala d’altare del seicento
nella quale il Santo è raffigurato appena dopo la causa
della conversione, mostrando la scena della cattura
dell’innocente contadino e dell’incendio con il rivo del
gorgolare che scorre al suo fianco a simboleggiare il
romitorio di Calendasco, con anche gli attributi da
eremita quali il rosario, il teschio e la frusta della
penitenza, mentre il piede destro poggia sulla nuda
terra, simbolo della sua nascita fisica ed il piede
sinistro poggia su una fredda e grigia pietra allegoria
della futura vita da eremita in una grotta nuda e
disadorna lontano dal mondo nella Valle dei Pizzoni
presso Noto.
Con l’occasione che ci è data in questo 2015 della
ricorrenza del V° Centenario dell’Indulto di
Beatificazione, che vedrà coinvolte le autorità civile e
religiose di Noto che con tanti fedeli si porteranno in
pellegrinaggio a Calendasco per vedere di persona i
luoghi nei quali nacque e visse S. Corrado, possiamo
dire conclusa dopo ben 468 anni la fase di damnatio
memoriae riversata sul culto in terra piacentina dai
Farnese che iniziò nel 1547.
Il 19 febbraio Dies Natalis non solo saranno ormai
quattrocento anni che si venera come Celeste Patrono il
Santo Confalonieri nel paese di Calendasco ma con il
dono di un gigantesco Cilio da parte dei Portatori
netini, si instaurerà un gemellaggio spirituale di
portata storica e religiosa che passerà negli annali
della devozione.
Umberto Battini