particolare da mappa del XVI sec. con Calendasco

                                              San Corrado  Calendasco 1290 -Noto 19 febbraio 1351

 
 
  STORIA E DOCUMENTI

              

          L'INCENDIO    

testo di Umberto Battini

dal volume sugli INEDITI PIACENTINI 2006                             o


La causa che spinge il nobile Corrado a dare una svolta alla sua vita è collegata senza ombra di dubbio al fatto dell’incendio che provocò durante una battuta di caccia. Siccome fu incolpato del danno un innocente contadino, Corrado lo fa liberare ammettendo la colpa: lui è il colpevole e lui è l’uomo da punire. Gli antichi Statuti piacentini sono da datare al 1322-36, Galeazzo I Visconti milanese e Signore di Piacenza morì nel 1328, gli studiosi propendono perché “una compilazione di norme da lui ordinata, potrebbe essere avvenuta soltanto nel periodo fra il 29 dicembre 1322 in cui ritornò al potere, e il 1327 in cui ne fu deposto. In questo arco di tempo cade appunto la compilazione del 1323 cui si aggiunsero altre norme che risultano confermate nel 1336 da Azzone Visconti... ed altre ancora poste sotto gli anni 1341- 1342” e proprio queste antiche leggi trattano anche dell’incendio: “Munita di sanzione penale era soltanto la norma relativa all’incendio doloso, e la pena variava a seconda dell’entità del danno arrecato... tuttavia il condannato poteva sottrarsi alla pena corporale pagando al Comune la somma di 200 lire entro quindici giorni dalla condanna, e risarcendo completamente il danno”. Per la cessione dei beni in caso di dover pagare per un danno causato, quale appunto l’incendio, oltre alla forma della espropriazione dei beni da parte del potere civile, poteva essere attuata “la volontaria cessione di tutti i beni da parte del debitore”.

                  


La famiglia del santo era guelfa, intimamente legata alla chiesa piacentina e molto vicina ai francescani. Nello stesso borgo di Calendasco esisteva una piccola comunità di frati laici della Penitenza, cioè del Terzo Ordine francescano che erano conosciuti per il loro modo di vivere in povertà al servizio di tutti, anche dallo stesso giovane Corrado.
La Tradizione dell’incendio, che si è tramandata da secoli nel piacentino, narra di due possibili luoghi: la località Case Bruciate di Travazzano nei pressi di Carpaneto – ove i Confalonieri possedevano una Casa Torre con delle terre presso Celleri – oppure il Villa Campadone – luogo vicino a Calendasco e rientrante nel feudo che gli stessi qui avevano.
Un ‘molino brugiato’ c’è anche nei pressi dello stesso paese e proprio ove nel 1805 le mappe catastali napoleoniche indicano il “molino Raffoni”, quello legato alla tradizione del gorgolare. Il molino bruciato posto a Calendasco confina con la strata levata, cioè la strada che è rialzata proprio per far sì che il rivo macinatore possa far quel salto necessario a smuovere la grande pala del molino.
Ma anche una nuova ipotesi per collocare l’incendio causato dal giovane san Corrado può aggiungersi a queste: infatti non molto lontano da Calendasco, a pochi chilometri – (circa quattro) - in direzione di San Nicolò a Trebbia, esiste una località chiamata ‘ la Bruciata ’ di antica memoria.

                                 


Il fatto eccezionale è dato da una pergamena dell’11 gennaio 1589: è una investitura di un fondo terriero di 200 pertiche fatta dai monaci di Quartazzola (località a pochi chilometri da Piacenza posta non molto lontano dal fiume Trebbia) ad un certo Cesare Viustino che è erede del fu Alfonso.

            


La pergamena riporta che le terre sono poste nel territorio di Calendasco, in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla Brugiata”: una vasta area agricola coltivata di ben 200 pertiche (pensate che un campo da calcio è di circa 4 pertiche piacentine).
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili, vitigni e zone a bosco può essere ritenuto il luogo dell’incendio di san Corrado Confalonieri? A mio avviso si, con un buon margine di possibilità, data dalla ragionevolezza che una così vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la memoria della gente.
Per restare in argomento una carta sempre dei frati Bernardini di Quartazzola del 23 giugno 1654 testimonia del fitto di terre ad un certo signor Viustino (discendente dell’altro prima citato) poste alla “Bre” in territorio di Calendasco che sono al ridosso confinale con i paesi di San Nicolò e Santimento.A buon diritto ritengo che se la certezza per l’incendio corradiano non è possibile darla per scontata, tutto quello che la vecchia storiografia dava come unico dato, cioè citando solo ed esclusivamente quale posto del danno ‘le Case Bruciate’ dell’area di Travazzano, sia da ritenere sorpassata e ampiamente messa in discussione dai nuovi dati storici inediti che ho rintracciato in Archivio di Stato di Parma e Piacenza: cioè il molino Bruciato di Calendasco e soprattutto l’area agricola nel territorio dello stesso Calendasco chiamata ancora nel 1589 la Bruciata , ha più valore storico per crederla area dell’incendio corradiano, al contrario di quello che può essere un toponimo relativo a delle poche case andate bruciate.

Note al testo
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972; pagg.12-13; ringrazio per avermi permesso di consultare l’importante volume il Sig. Romano Gobbi attento cultore della storia piacentina
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.72-73
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.126-127
sull’hospitale di Calendasco che era al passo del Po sulla Via Francigena non ci sono più dubbi, già ne trattai nel II°Convegno Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri – Calendasco 1999 e con maggior ampiezza nella relazione che ho svolto in: III° Convegno Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri – Piacenza 18 marzo 2000 Auditorium S. Ilario, Partner organizzativo la Banca di Piacenza
ASPC notaio Lelio Degani pacco n.15393, ove una carta del 1653 cita appunto il molino brugiato in loco calendaschi e la strada levata o rialzata.
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore, pergamena in corsiva latina, pacco LXXVII 1, doc. del 11 gennaio 1589; sempre nel Fondo di questo Convento una pergamena del 14 febbraio 1277 tratta di una pecia terra culta que est quatuor jugera che è posta in Capitis Trebie,cioè Cò Trebbia (vecchia) luogo in cui sorge la famosa abbazia dipendente da S. Sisto di Piacenza ove si tennero le Diete del Barbarossa nel 1158
anche questa pergamena è un inedito da me rinvenuto in quanto nessuno aveva mai dato peso al fatto che in essa si trattasse di questa area agricola detta ‘bruciata’
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore pacco LXXVII 1 – AI° AII°, pergamena n.19

dal volume AA.VV. "San Corrado Confalonieri - i documenti inediti piacentini"

edizioni Compagnia di Sigerico 2006 - Calendasco (Pc)


                                                   


 

estratto breve con il brano relativo all'incendio 

S. Corrado Confalonieri

Cenni Biografici

di Salvatore Guastella

Noto 1955

 

Il Cavaliere

 

I Santi sono l’opera sovrana di Dio, che lo rivelano al mondo e ne annunziano e dilatano la gloria.

S. Corrado Confalonieri lo prova in maniera luminosa. Cogliamo i tratti più caratteristici della sua vita, ad edificazione della nostra devozione per Lui nostro Celeste Patrono.

Nasce a Piacenza, in Emilia, dalla illustre famiglia dei Confalonieri verso la fine del sec. XIII, tra il 1284 e il 1290. Secondo l’uso del tempo e la sua condizione, cresce Corrado appassionato delle armi e si diletta assai di caccia. Carattere retto e gioviale il suo, che lo fa amico sincero e cittadino integerrimo. Si impone all’ammirazione di tutti per il suo amore alla giustizia. Nelle malaugurate lotte intestine di allora, i cittadini dei vari Comuni d’Italia si dividevano in Guelfi e Ghibellini. Corrado è di parte Guelfa, ma i suoi nemici politici non lo infastidiscono ne lo espellono in esilio come elemento indesiderato: la sua bontà invero è nota a tutti: i poverelli non ricorrono invano alla sua carità.

Corrado è un credente: ma iddio ha dei grandi disegni su di lui. I Santi sotto l’azione della grazia di Dio si preparano all’alta missione cui sono destinati, poiché la santità è grandezza e solo le cose piccole non si preparano. Attraverso i più svariati avvenimenti domestici e sociali, lieti e dolorosi, con lavorio lento e misterioso, Dio va maturando questo generoso cavaliere piacentino per l’istante solenne e decisivo in cui si slancerà con tutto l’impeto delle sue energie nelle vie della santità.

In Corrado insomma si tratta di distruggere in un colpo l’immensa distanza che corre tra il cristiano alla buona e l’eroe cristiano, tra il pellegrino pedestre e l’aquila dal volo sublime, tra Corrado l’onesto e Corrado il Santo!

Richiamiamo il fatidico incendio. Siamo nei dintorni di Piacenza e precisamente nella boscaglia dove Corrado caccia lietamente con una brigata di amici. Passano ore di infruttuosa fatica,perché il luogo è selvoso e pieno di cespugli, e la selvaggina è appiattata in densa macchia inaccessibile ai cani.

Per subitaneo pensiero proprio o imprudente suggerimento dei compagni, Corrado vi fa appiccare il fuoco per scovare gli animali nascosti. Ma levatosi un forte vento, il fuoco si dilata ben presto. Riuscito vano ogni tentativo o sforzo per spegnerlo o circoscriverlo almeno, Corrado e gli altri, afflitti e mesti, se ne tornano per vie diverse alla città. I nembi di fumo e il crepitio altissimo delle fiamme chiamano tutti gli abitanti fuori delle mura. L’opera dell’uomo è impotente a isolare l’incendio; e in breve il bosco, le case limitrofe, i vicini campi biondeggianti di messi, tutto è in preda del fuoco.

Era allora Governatore di Piacenza Galeazzo Visconti, in qualità di Vicario imperiale. Il fatto accadde probabilmente nell’estate del 1313. Pare che l’incendio, dovuto involontariamente alla giovanile imprudenza di Corrado Confalonieri, accadesse nel tempo che Galeazzo sta in timore di qualche movimento ed assalto dei Guelfi in esilio. Perciò al primo avviso datogli, il Governatore sospetta di uno stratagemma militare per attirare le milizie fuori della città o almeno che sia un segnale ai Guelfi di dentro. Manda i suoi uomini, e sorprendono un tale scampato miracolosamente a quell’uragano di fuoco, che fugge per l’aperta campagna. La fuga, il manifesto timore, il pallore, la confusione nel rispondere e l’incoerenza delle sue parole sono o sembrano indizi sufficienti, giusta gli usi d’allora, perché si proceda all’arresto e alla tortura. Questo barbaro procedimento, che non di rado giovava ai rei più robusti ed astuti per purgare, come dicevano, gli indizi che erano contro di loro, non serve questa volta che ad estorcere una falsa accusa: perché l’infelice si dice colpevole dell’incendio. Perciò viene condannato alla forca. Il reo, scortato, passa sotto al palazzo dei Confalonieri. Corrado, di cui nessuno sospetta, informato dell’esito di quel processo, non può soffrire nell’animo suo cristiano e nobile che un innocente sconti la pena della imprudenza sua.

Coll’animo agitato lo contempla dal balcone. Non regge più a quella vista, cede all’impulso del suo nobile cuore, e benché non tenuto ad accusare se stesso, scende precipitosamente le scale, si apre la via tra la folla, arresta il corte, e grida forte: “Slegate quell’innocente, restituitelo alla desolata famiglia. L’autore involontario del grande disastro è qui: sono io!”. Quel grido scoppia in mezzo all’attonita folla come un fulmine, e in mezzo ad un sacro silenzio si svolge allora una scena sublime tra gli agenti della forza che hanno ricevuto ordini perentorii e Corrado che vuole liberare l’innocente. Alla fine, dopo un lungo e aspro dibattito, l’eroico giovane vince la grande partita.

L’innocente è gia in mano di Corrado che per tutelarne meglio la libertà e la vita lo custodisce nella propria casa. Va quindi al palazzo del Vicario imperiale, ove prima di lui sono già tornati gli esecutori. Trova Galeazzo Visconti molto irato. Ma Corrado con franchezza e insieme con rispetto e prudenza dice non aver agito per astio contro il magistrato e la giustizia, ne intende sottrarre un imputato alla pena. Perciò lo tiene custodito in casa sua agli ordini dell’autorità. Ha agito così per toglierlo lì per lì agli esecutori, per acquistar tempo da mettere in chiaro l’innocenza di quell’uomo, e risparmiare al magistrato un rimorso tardivo e infruttuoso d’essersi ingannato nel giudicarlo. E narrando per filo e per segno quanto gli è accaduto nella partita di caccia, sui accusa chiaramente di imprudenza e prova l’innocenza di quell’innocente malcapitato. Galeazzo non lo condanna, in quanto Corrado è gentiluomo; e anche perché Corrado si spoglia volontariamente di tutti i suoi beni per risarcire i danni.

             

 
   
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