LA GROTTA del SANTO francescano

 

   Noto. La grotta di san Corrado
al Santuario dei Pizzoni

                                                                  

Nella testata di Cava d’Ispica, sant’Ilarione (sec. IV) dimorò in una grotta sull’alto di una rupe che diede il nome alla località Scalauruni (Scala Ilarionis), mentre a Scicli san Guglielmo (+ 1404) visse in una grotta-celletta accanto alla chiesa di s. Maria della Pietà (s. Maria La Nova). Più conosciuta nella stessa zona [del Val di Noto] rimane la grotta di s. Corrado nel santuario della Valle dei Pizzoni, luogo privilegiato di preghiera, di penitenza e di carità.
La grotta di San Corrado - ‘cuore’ della religiosità netina - ci é «sacra» per la presenza orante del santo patrono (+ 19.02.1351). La più antica biografia del santo, scritta in dialetto locale, annota che «lu beatu Corradu nisciu fora di la terra di Nothu et andau a lu desertu ad un locu ki avìa nomu ‘li Piczi’, undi esti una cava. Et illocu accuminzau a fari la sua vita plui àspira…ki multi agenti andavanu a vidiri pir grandi divocioni et illu com chera benigna richipìa ad omne unu».

                             


Questa vita più austera (plui àspira et plui dura) nel santo eremita difendeva il suo diritto ad un più personale incontro con Cristo. Infatti l’uomo per sua natura è un essere che dice relazione alla comunità ed è anche un solitario che porta in sé l’impronta della vita intima con Dio. San Corrado in tal modo non si separava dalla comune condizione cristiana. Egli fu scelto dallo Spirito per essere tra noi un supplemento di adorazione in mancanza della quale la Chiesa, anche oggi, non potrebbe sostenere senza grave pericolo lo slancio dinamico che la spinge nel cuore nelle masse umane. L’eremita evangelizza nel silenzio e l’andare degli apostoli e dei missionari è anche manifestazione ed esplosione di questa ricchezza interiore che è fatta di mistero, di adorazione e di amore. San Corrado con volto sorridente (cum chera benigna) accoglieva tutti, perché si sentiva unito ai fratelli, ai quali fu largo di aiuti e di consigli spirituali, di intercessione e di miracoli.

                                            


Con san Pier Damiani il nostro santo poteva dire: «Anche se, per la solitudine fisica, può sembrare che ci siamo allontanati dalla comunità ecclesiale, per il sacramento invisibile dell’Unità le siamo sempre presenti in massimo grado». Nella ricerca e nell’approfondimento di Dio l’umile eremita piacentino dei Pizzoni si sentiva più vicino agli altri: visse così perché ci amava tutti.
Al visitatore attento la grotta di s. Corrado può ricordare il primato della preghiera e del Vangelo, che offre la sintesi tra la fede in Dio e il servizio del prossimo incominciando dagli ultimi. Da secoli questa venerata grotta è luogo rispettato. Custodito già dagli ‘eremiti di S. Corrado’ è tutt’oggi meta di pellegrini e di visitatori. A questa venerata grotta «ci si acchiana(va) per circa deci scaluni» (doc. del 1595). L’attuale santuario che la custodisce e l’adiacente eremo inferiore vennero edificati nel 1751, IV centenario della morte del santo, per iniziativa del ven. fra Girolamo Terzo. I Padri e i Frati eremiti Orionini hanno retto il Santuario dal 1939 al 1993; oggi ne hanno zelante cura i PP. Francescani Conventuali.
Il responsabile impegno adulto e il ricupero giovanile dei valori fondamentali del vivere civile (grazie anche al contributo educativo della Scuola) assicurano una migliore custodia, valorizzazione e fruizione del nostro invidiabile ambiente storico-artistico-civico-religioso netino a tutto vantaggio culturale ed economico della comunità cittadina.

                            


Nel 2001 il Trio Jubal ha eseguito con successo «Corrado Confalonieri l’Eremita dei Pizzoni», poemetto magistralmente musicato da don Salvatore Rametta. Se è vero che la musica rasserena e fa rivivere interiormente, andiamo a riascoltare - nel cd – la melodiosa corale ‘Valle dei Pizzoni’: «Valle misteriosa dei Pizzoni / luogo di silenzio e di preghiera, / terra benedetta dal Signore, / oasi di pace e santità. // Lembo sei di cielo sulla terra, / dove ci s’incontra col Signore, / valle rivestita di splendore, / valle profumata di virtù. // Valle misteriosa dei Pizzoni!».

Sac. Salvatore Guastella


 

 

 

La Grotta di San Corrado

 

Da sempre ha catalizzato la vita eremitica locale

Un filone d’oro dell’eremitismo cattolico passa per il Val di Noto nella Sicilia sud-orientale, che ha visto fiorire una plurisecolare esperienza eremitica lungo le valli dei Monti Iblei sin oltre i Pizzoni. Soprattutto è la grotta di San Corrado - dove egli visse e dove morì il 19 febbraio 1351 alla cava dei Pizzoni - che ha sempre catalizzato la vita eremitica locale, divenuta intensa dopo che Leone X lo dichiarò Beato il 28 agosto 1515.
Tra i tanti ‘uomini di Dio’ – i quali sulla scia di San Corrado Confalonieri vi hanno vissuto il Vangelo sine glossa – ricordiamo il beato Antonio Etiope (+1550) molto venerato in Brasile, i venerabili Pietro Gazzetti di Modena (+1671), Alfio da Melilli (+1708) e Girolamo Terzo da Noto (+1758), come anche fra Giambattista Fabbrica da Milano (+1705), fra Francesco da Magdeburgo (+1751) al secolo Nicola Ernesto Millen, già luterano, fra Carmelo Tasson da Portolongone, già capitano, fra Giuseppe Lo Res Spinosa di Alessandria (+1769), fra Luigi Belleri da Pavia (+1778) e gli spagnoli fra Giuseppe Cicamo già militare, fra Giuseppe Omne vescovo in partibus e fra Mattia Davias; inoltre recentemente gli eremiti orionini frate Ave Maria (+ Butrio 1964), fra M. Bernardo da Montalto Ligure (+1974) e fra Antonio Taggiasco (+1983). Sulla roccia della loro preghiera e carità sta la religiosità del nostro popolo.

                                        



Testo estratto dalla VITA di S. Corrado

scritta da mons. Salvatore Guastella nel 1955

 

L’Anacoreta

 

Qui comincia il periodo che chiameremo”classico” della vita di San Corrado. E’ tutta una serie di meraviglie, che ti riempiono l’anima e ti esaltano. Fra Guglielmo lo accoglie fraternamente, gli assegna una povera cella presso la sua e un po’ di fieno per letto. Di ciò Corrado è contentissimo, e nel tempo che ivi passa stringe tale intimità con Guglielmo, al quale torna poi vantaggiosa consentendogli di apprendere alla scuola di Corrado il segreto della vera santità. E Scicli deve il suo fulgido astro al Sole di Noto.

Intanto i fiumi di sapienza celeste che fluiscono dal suo labbro, nonché lo splendore dei suoi esempi e dei suoi portenti lo hanno fatto conoscere nella sua vera luce. L’anima del popolo che intuisce lo ha già caratterizzato. Egli non è più il povero pellegrino, nemmeno il compagno  e discepolo di Guglielmo, ma il Santo.

S’accresce pertanto il numero dei visitatori e ammiratori. Pietro Buccheri, il figlio di Guglielmo come alcuni altri dediti al mondo, on vede di buon occhio il nuovo compagno del padre, né che egli ne segua l’esempio in una forma di vita austera e penitente. Quest’animosità non turba Corrado, bensì dispiace all’umiltà sua l’ossequio degli altri; e gli pesano tante visite che gli interrompono le meditazioni e le preghiere. Egli brama la solitudine e anela a maggior austerità ed asprezza di vita. Ed eccolo fuggire inosservato nella famosa grotta dei Pizzoni, la quale passerà alla posterità con il nome di “Grotta di S. Corrado”. Essa s’interna ai piedi di un’aspra roccia che sembra fatta per predisporre lo spirito ad inabissarsi nella meditazione delle cose eterne. Lasciamo che Corrado la santifichi con la sua presenza e l’illustri coi suoi portenti, e il ruvido speco si trasformerà in uno dei santuari più famosi dell’Italia, meta di innumerevoli pellegrinaggi. Tutto contento vi passa in preghiera e digiuno i primi due giorni: poi va ad elemosinare un po’ di pane e torna alla grotta. Questa da allora in poi è la sua vita. Viene a Noto per l’adempimento dei doveri di religione; ogni venerdì va alla chiesa del Crocifisso. Le sue giornate trascorre solitario al suo romitaggio nella orazione, nelle penitenze e nel lavoro. L’unione con Dio è l’aspirazione della sua vita.

Appende alla parete della caverna un crocifisso; per letto, tavolo, sedile gli basta il piano sassoso della grotta. Per suppellettili, una zucca seccata per tenervi un po’ d’acqua e pochi arnesi per andar coltivando quel terreno deserto. Lo scarso pane lo chiede in elemosina il sabato a Noto ed Avola. Oh, se quella grotta potesse parlare, quali meraviglie non si svelerebbero al nostro sguardo! Noi vedremmo Corrado nel’ambiente divino delle estasi, delle visioni di cui il cielo lo favorisce: nella ruvida grotta teatro di tante meraviglie, noi ammireremmo un riflesso del cielo, un prolungamento del Paradiso!

Bartolo Longo, notaro, vuol mandare all’amico Corrado un paio di fiaschi di vino. Il servo cammin facendo pensa tra sé che all’eremita può bastarne uno; l’altro lo nasconde tra i cespugli. “Dov’è l’altro fiasco che hai nascosto?” gli domanda scrutandolo negli occhi fra Corrado. “Bada – replicò poi – che una serpe vi sta sopra: che non ti morda quando lo pigli!”.

Andando un devoto a visitarlo è sorpreso da repentino temporale. Si nasconde in una grotta e vi si addormenta. Fra Corrado vede in spirito l’imminente pericolo di colui e, pregando và a svegliarlo. Dopo pochi momenti un fulmine colpisce la grotta: l’avrebbe incenerito.

Nicola Vassallo vuol mandare al buon eremita una forma di cacio, ma la moglie sostiene sia sufficiente metà. Il Vassallo insiste, e il figlio si presenta alla grotta con la forma intera. Fra Corrado divide il formaggio dicendo al giovanetto: “Questa metà è di tua madre e questa di Gesù Cristo”. Pensa una volta l’Anacoreta di staccare dalla sua grotta un masso ingombrante, e chiama in aiuto dei giovani. Quando questi vedono di quale pietra si tratta gli dicono che è impossibile a sì poche braccia di smuoverlo. Ma Fra Corrado fiducioso in Dio, fatto il segno della croce, li prega di provar visi; ed egli da una parte, gli altri dall’altra vi riescono con mirabile facilità. Rientrato nel’antro, nel quale essi hanno visto non esservi nulla, ne porta fuori pani caldi, che distribuisce. I giovani restano attoniti al doppio prodigio. Ed uno di essi anzi vuole ad ogni costo rimanere col Santo come eremita, ma non sa poi perseverare nel buon proposito.

“Padre – lo prega un giorno un amico – io voglio che oggi veniate a mangiare a casa mia, ché ho comperato dei pesci; vi prego per carità di venire” . E il Santo: “Dio rimeriti la vostra anima per tale carità; ma non fa bisogno per oggi”. Alle insistenze gli dice che i pesci da lui comperati sono stati già preda del gatto. L’amico tornato a casa trova appunto per ciò in collera la moglie.

                   

  

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