IL TESTO DELL'ARTICOLO
SAN ROCCO e SAN CORRADO
Incontro in terra piacentina
Essendo molto sentita la festa di S. Rocco dai
piacentini, proprio nel periodo agostano che segna la
ricorrenza, vorrei proporre all’attenzione degli amici
soprattutto sarmatesi questa riflessione storica basata
sul documento dell’antica visita apostolica alla chiesa
di Calendasco effettuata dal Vescovo mons. Giovan
Battista Castelli il 16 dicembre 1579.
Già il fatto che San Rocco sia inscritto nel Calendario
e Ufficio Liturgico del Terzo Ordine Francescano -
oppure Regolare (TOR) che dir si voglia - era stata per
me una scoperta importante! Infatti questo santo,
veneratissimo nel Piacentino, secondo la Tradizione è
appena successivo nei suoi accadimenti di vita, a San
Corrado, ed anzi per certi anni, la loro vita si
intreccia nel piacentino: intendo quando il nostro santo
Corrado già era ritirato nel romitorio di Calendasco del
'gorgolare' (appresso al mulino), con la comunità retta
dal superiore frate Aristide.
Il
prezioso Registro originale è in Archivio della Curia di
Piacenza e in microfilm presso l’Archivio di Stato di
Piacenza. Per sviluppare questa intrigante ipotesi di un
possibile incontro tra i due Santi Penitenti Rocco e
Corrado mi servirò oltre che del citato atto anche dello
studio storico rocchiano del Diedo e d’altri suoi
estimatori.
Lo spunto mi è dato da questa parte del manoscritto: “In
predecto territorio de Calendasco” sottoposto alla
chiesa parrocchiale è “oratorium nuncupatum sub
vocabulum Sancti Rochi posito in loco arene” ove
risiede il Signor Rizzolo ed è “in territorio diciti
loci Calendaschi ed quo est profanatum et nihil habet in
bonis, et non habet aliqua paramenta...”.
Dalla carta deduciamo che il culto a San Rocco era
esistente: santo penitente terziario, venerato
principalmente contro la peste e anche assurto a
protettore dei pellegrini e ascritto ufficialmente nel
Registro dei Santi del Terzo Ordine Francescano. La
località di Arena, ancor oggi abitata è sulla “strata
romea” cioè la via Francigena che dirige a Calendasco ed
al porto del Po.
L’oratorio in Arena nel 1579 è ormai desueto e
profanato, cioè non più in uso, questo significa che
doveva avere un’antica fondazione e quindi abbastanza
remoto risalente alla prima divulgazione del culto
rocchiano in terra piacentina, come appunto fu in
Sarmato e nella stessa Piacenza.
Possiamo con certezza affermare che un tempo, cioè prima
della profanazione o più semplicemente dell’abbandono,
fosse dotato di propri arredi e paramenti per la sacra
liturgia ed anche adorno di pitture al Santo Rocco.
Purtroppo oggi dell’oratorio si è persa completa memoria
e non è desumibile sapere ove fosse la sua costruzione
lungo la strada nel luogo di Arena e anzi si crede
certamente abbattuto nel tempo proprio perché diroccato.
Certezza vuole però che questo oratorio dedicato a San
Rocco sorgesse al ridosso della strada principale
diretta al borgo sul Po: ancora oggi questa piccola
frazione sorge lungo l’asse viario principale ed è
segnalata già come frazione, nominata quale Arena,
in mappe del tardo 1500 ed in carte notarili molto più
antiche che indicano terre e possedimenti in Arena
territorio di Calendasco.
E' storicamente certo che i Terziari ospedalieri - quali
in Calendasco - di cui anche s. Rocco è un 'infermiere
itinerante' (così lo definiscono gli storici per il
fatto che itinera da ospitio in ospitio proprio al
servizio degli infermi), sono con quelli viventi nei
romitori, i primi 'congregati' per una risoluzione alla
Regolarità dei Terziari, e il "romitorio" di Calendasco
è tra i 'fondanti'.
Dicevo di San Rocco: ebbene scopro che Studi eminenti,
quali quello di mons. Fusaro, ci donano riferimenti
storico-critici molto interessanti, in sintesi:
-lo storico Diedo dice s. Rocco nato nel 1295 e morto
nel 1327
-un altro studio ci informa che fino ad argomenti più
decisivi le date cui attenersi circa la vira rocchiana
sono quelli forniti dal Diedo e non il 1345-1377 come
alcuni ipotizzano.
-il Maurino propende per le date ultime mentre p.
Filippo da Bergamo e il domenicano Maldura sono per la
data prima
-monsignor Ceroni Professore del Pontifico Seminario
Vaticano sostiene le date tradizionali 1295-1327.
Se le date prime fossero confermate (ne le prime ne le
ultime lo sono con certezza ma aperte a studio e
ipotesi) vediamo una coincidenza piena con l'epoca del
piacentino San Corrado.
Ovvio che l'incertezza sulle date del santo Rocco non ci
spinge oltre, di storico rimane la permanenza nel
piacentino, presso il territorio di Sarmato, e che era
penitente terziario anche se questo aspetto viene
raramente messo in luce non ostante sia bianco su nero e
nell’immaginario comune San Rocco rimane un anonimo
laico che visse cristianamente: così non è, aveva un
ideale che lo spronava, molto diffuso in quegli anni
come documentano le Fonti, ed era appunto l’ideale
terziario penitenziale francescano.
Stando alle date di vita di San Rocco fornite dagli
studi del Diedo è logico e probabile pensare anche
'storicamente' di un incontro tra i due santi citati.
Scrive il p. Fredegando da Anversa autorevole storico:
"... A misura che crescevano la vita spirituale e
l'operosità pubblica dei Terziari aumentava anche il
loro attaccamento reciproco e si moltiplicavano le loro
adunanze (vedi il grandioso Capitolo di Piacenza del
1280). In molti luoghi essi aprirono degli ospedali e
degli ospizi per i poveri e pellegrini, dove
necessariamente alcuni fratelli dovevano prendere
dimora..."
Comunque il fatto notevole è che i due Santi hanno lo
stesso ordine terziario: san Rocco come
pellegrino-infermiere e san Corrado Confalonieri
penitente-romita.
Nelle piccole curiosità storiche a volte si nascondono
grandi illuminazioni, San Rocco e S. Corrado alla fine
li scopriamo degnamente riscoperti e venerati nella loro
Piacenza.
Umberto Battini
FESTA 2012
articolo apparso sul quotidiano di
Piacenza LIBERTA' di mercoledì 15 febbraio
Il testo dell'articolo
TRA CALENDASCO E NOTO
SAN CORRADO CONFALONIERI
L'eremita penitente
di Umberto Battini
La figura storica di questo Santo
piacentino passa attraverso la contestualizzazione con il
territorio, non ultima quella che oggi è la Via Francigena.
Difatti il nostro Santo Eremita inizia la sua
avventura spirituale da quel piccolo borgo che è Calendasco:
il castello e l’hospitio-romitorio. Ai nostri giorni abbiamo
proprio qui sul Po, il passo francigeno detto “di Sigerico”.
Il romitorio già verso il 1280 era retto da frà Aristide,
maestro spirituale di s. Corrado e superiore del piccolo
ospedale, proprio frà Aristide nel 1290 andò a Montefalco
per presiedere alla costruzione del convento di s. Chiara e
poi tornò a reggere la sua Comunità piacentina di fraticelli
della penitenza o del terz’ordine francescano. Nel 1315
circa vi è l’incendio devastante causato dal Confalonieri
durante la caccia, e se fino a qualche anno fa la
storiografia lo indicava essere nei pressi di Celleri,
basandosi solo su una tradizione, ora abbiamo il sostegno di
una pergamena che ribalta e corrobora la storia. L’abbiamo
rintracciata in Archivio di Stato a Parma nel fondo del
monastero di Quartazzola, è una pergamena in scrittura
corsiva latina datata 11 gennaio 1589. Questa investitura di
un fondo terriero di 200 pertiche piacentine (circa 45 campi
da calcio) ci dice che le terre in direzione di S. Nicolò a
Trebbia e che coinvolgono anche il territorio di Calendasco
sono chiamate “alla Brugiata”. Questo grande spazio rurale
fatto di campi coltivabili, boschi
e viti con ragione possiamo intenderlo come la prova
che lì un tempo vi fu un grande incendio, indicato appunto
dalla toponomastica che chiama tutto quell’appezzamento
“Bruciata” nonostante fosse stato terreno fertile e coltivo.
D’altra parte anche le “case bruciate” di Celleri sono una
indicazione toponomastica così come il “molino bruciato” di
Calendasco. Gli Statuti piacentini più antichi, quelli del
feroce Galeazzo Visconti (1322 – 1336) prevedevano per
l’incendio doloso varie pene a seconda della gravità ed
entità dello stesso, ma il reo poteva pagare il danno al
Comune con una grande somma pari a 200 lire oppure era
libero – tra virgolette - di fare una volontaria cessione di
tutti i beni. Senza addentrarci nella questione, possiamo
credere fosse appunto questa la pena dovuta per l’incendio
del nostro santo come già la storia secolare tramanda e
ancor più quella del XV e XVI secolo scritta nella lontana
Noto. Lo sviluppo del culto al Santo Penitente ha una svolta
in Piacenza nel 1611, quando giunge la lettera del 1610
scritta dai Giurati da Noto, bellissima città sicula nella
quale da ormai sette secoli si conserva con somma
venerazione il corpo del Confalonieri. Nella lettera si
chiede di far ricerche negli archivi piacentini per scoprire
quello che il santo frate “habbia molto più occultato per
humiltà di quello che s’é investigato”. La risposta è in
parte nella lettera spedita da Piacenza nel 1611 che vede
gli Anziani e Priori comunicare quanto avevan potuto sapere.
Allegano alla missiva una “Informatione circa l’Illustre
Famiglia Confaloniera” dalla quale leggiamo testualmente che
nel Monastero francescano di S. Chiara, ancor oggi visibile
sullo Stradone Farnese, tra le tante cose avevan “trovato
notitia di una suor Gioannina Confalloniera che specialmente
viveva nel 1340
et anco nel 1356” e che poteva essere la moglie del Santo
Corrado al tempo della sua vita piacentina. Come detto, in
questi primi decenni del 1600 assistiamo a Piacenza un
rincorrersi di espressione di devozione e di propaganda del
culto molto significativa a s. Corrado Confalonieri. In
Cattedrale gli si erige una cappella dipinta ed ornata con
altare e tutto per volontà di Gian Luigi Confalonieri,
affrescata nel 1613 dal Galeani pittore di Lodi, queste
belle quattro vele sono ancor oggi visibili e recentemente
restaurate. Rappresentano scene basilari della Vita del
Santo Eremita. Qualche anno dopo vi venne collocata una
bella tela del Lanfranco, che nel periodo napoleonico fu
trafugata ed ora è esposta nel museo di Lione in Francia.
Anche il canonico del duomo Pier Maria Campi scrisse una
Vita del Santo Corrado per assolvere alle richieste dei
netini che desideravano maggiori notizie e fu pubblicata nel
1614 a Piacenza. Cosa ancor più notabile, il vescovo mons.
Claudio Rangoni che era stato investito anch’egli dagli
Anziani di Noto di far ricerche sul santo piacentino,
suggella le ricerche storiche andando a validare di proprio
pugno il Legato Sancti Conradi. Redatto nel Palazzo
Episcopale dal Cancelliere e Notaio della curia il 9 agosto
1617, vede la volontà del Conte Zanardi Landi di erigere una
cappella ed altare al Santo piacentino nella chiesa di
Calendasco. A fondamento dell’atto giuridico che ha valore
pubblico con proprie forme solenni, secondo le regole ferree
della diplomatica, vi si afferma che i Confalonieri erano
abitatori e feudatari di Calendasco; che il culto era già
esistente e che andava rinvigorito proprio nel borgo citato
e, si badi bene, cosa importantissima per la storiografia è
che si afferma che il santo Corrado è nato fisicamente in
Calendasco “in eodem loco”. Dal punto di vista storico
questa è una notizia eccezionale perché và a chiudere
tessere mancanti e apre ancor più a nuovi stimoli di
ricerca. Il famoso Legato in scrittura latina, dopo aver
illustrato clausole e somme circa il culto e la santa messa
in onore al Santo, si conclude con la firma dei testimoni e
del vescovo che “per tutti e per ognuno, e dopo aver
osservate le debite formalità della legge, dalla pienezza
della sua autorità Episcopale, interpose e interpone e
parimenti decreta.”. E proprio Calendasco – unico caso in
tutta la diocesi piacentina – lo avrà quale Patrono da quei
giorni andando anche ad abbellire la cappella del Santo con
la stupenda pala che lo raffigura ormai vecchio
penitente con sullo sfondo il ricordo dell’incendio frutto
della sua conversione e cambiamento di vita. Purtroppo gli
affreschi esistenti su alcune pareti laterali della chiesa,
con scene della Vita Conradi vennero coperti da una pittura
omogenea nel 1971 durante i grandi lavori di adeguamento
dello spazio liturgico secondo i canoni prospettati dal
Concilio Vaticano II voluti dallo storico arciprete del
borgo nonché Canonico di S. Antonino don Federico Peratici.
Oggi si ammirano di quegli anni gli affreschi del piacentino
Ricchetti e in particolare il suo possente san Corrado sotto
la croce posto nell’abside tra santi piacentini. La
Tradizione ce lo fa conoscere come San Corrado da Piacenza,
e questo giustamente perché la Casata Confalonieri possedeva
anche in città in zona S. Eufemia un palazzo ed in
Cattedrale si eresse la bella cappella con altare oggi
demoliti, e per di più la città è indicativa di un’area
facilmente individuabile da qualsiasi devoto in Italia.
Resta però il dato storico: la nascita fisica del Santo nel
piccolo feudo e borgo di Calendasco, un dato che perlomeno
non va ignorato ma anzi dovrebbe essere con serietà
riconosciuto. Ma c’è pure un altro aspetto da porre sotto
attenzione e che poco si è valorizzato, riguarda gli
accadimenti propri del 1300 e che ebbero anche una
ripercussione su coloro i quali vivevano da laici convertiti
e penitenti come il nostro Corrado. Il papa Giovanni XXII
nel 1318 con una bolla aveva scomunicato i frati dissidenti
detti volgarmente “spirituali” facilmente confondibili per
tipologia d’abito con i fratres de la penitentia
francescani. Già nel 1312 un folto gruppo di questi era
fuggito, con altri del nord Italia, in Sicilia terra poi
d’elezione del nostro eremita. Se Corrado nel 1315 vive la
famigerata causa dell’incendio, da una parte lo vediamo
essere sotto il martello e l’incudine, perché egli è guelfo
e quindi schierato con la Chiesa diversamente dal Galeazzo
Visconti ghibellino, però allo stesso tempo veste l’abito
bigio penitenziale terziario confuso con quello degli
“eretici” che, lo sappiamo dal frate Aristide, seguiva la
Regola del 1289 per i laici religiosi, la famosissima Supra
Montem di papa Niccolò IV. Nel contempo la confusione era
estrema: anche i Poveri Eremiti del frate Clareno furono
sciolti ed il pasticcio tra Beghini e Spirituali era
talmente esteso che con una altra bolla del 1319 lo stesso
papa Giovanni XXII dovette difendere e proteggere
ufficialmente i Penitenti e Terziari francescani dicendo che
non andavano confusi con i ribelli. Ed anche la cosiddetta
faccenda Templare coinvolge gli anni corradiani;
l’istruttoria contro i frati Templari si aprì nel 1307 e si
concluse nel 1312. Come sappiamo i templari di Piacenza
furono tutti assolti dall’accusa di eresia nel 1310 ed anzi
già nel 1304, al primo sentore di cattive notizie a loro
riguardo, avevano donato i loro beni ai domenicani
piacentini. Era questo il clima politico-sociale e religioso
che vigeva quando san Corrado ebbe il suo incontro con
quelli che la Vita Conradi più antica, il manoscritto netino
del XIV secolo, diceva esser stati poviri et servituri di
Deu. Altra questione sul fuoco – termine adatto per una
santo “incendiario” - è quella dell’iter della sua
beatificazione e poi santificazione. A Noto, e per fortuna
proprio là, diremmo oggi rileggendo i fatti e la storia, in
quella lontana città ove visse da eremita nella grotta dei
Pizzoni, alla sua morte avvenuta nella tarda mattinata del
19 febbraio 1351, immediatamente ne furono riconosciute le
virtù di santità; già da vivo infatti Corrado compì tanti e
copiosi miracoli: primo resta quello del pane che caldo
portava fuori dalla grotta ai tanti miseri e visitatori. Non
avevan certo bisogno di tante altre prove i cittadini di
Noto per riconoscere in lui un sant’uomo, l’avevano
sperimentato da vivo e ne portavano memoria e rispetto
estremi. Tralasciamo qui di approfondire ulteriori fatti
venuti da Noto e atteniamoci alla sua patria piacentina. Nei
secoli successivi, durante l’iter diciamo “romano” della
causa, un aspetto che la storiografia corradiana non prende
in considerazione e che mettiamo sul piatto, è strettamente
connesso ai suoi discendenti di Piacenza e Calendasco nel
particolare. Infatti nel 1547 il duca Pierluigi Farnese fu
assassinato a Piacenza e tra i Nobili cospiratori è anche
Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco. Il Duca
sappiamo che era figlio di papa Paolo III e la famiglia
Farnese una delle più in vista a Roma. Dopo varie vicende si
arrivò alla confisca dei beni dei congiurati e tra questi
quelli appartenuti appunto anche al Confalonieri assassino,
tutto questo circa quaranta anni dopo il fatto. In Archivio
di Stato di Parma abbiamo consultato gli atti della confisca
e tra i beni che possedeva a Calendasco il feudatario Giovan
Luigi Confalonieri e suoi fratelli, vi è anche una parte di
quello che è l’hospitio posto in “Co’ di Borgo” cioè
all’inizio del paese come è ancora attualmente oggi
visibile. I beni sono acquistati dallo Zanardi Landi e con
quella fortissima somma il congiurato in questione è
costretto al bando da Piacenza e portarsi a Milano. Casi
della storia: Giovan Luigi Confalonieri, colui che circa
cinquant’anni prima uccise il Duca piacentino, nei primi
anni del 1600 fu fatto Capitano di Giustizia a Milano.
Questa sintesi per far comprendere con logica come mai
l’iter di santità del nostro Eremita non potè che
concludersi in pieno seicento; la macchia della Casata dei
Confalonieri d’aver ucciso il figlio di Paolo III si
trascinò certamente per anni, anche come memoria nella
stessa Curia Vaticana. La causa per la santità cominciata a
Noto nel 1485, poi sospesa, vede la conferma del culto nel
1515 per mano di papa Leone X; la conclusione per brevità
possiamo porla con la bolla di papa Urbano VIII che nel 1625
concede al Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini di
celebrare la festa del Santo Corrado in tutto l’Ordine
francescano dell’orbe. Intanto restiamo in attesa del
gemellaggio tra le diocesi di Piacenza e Noto auspicando che
la cosa non si risolva in sola retorica e a beneficio dei
soliti noti ma che possa coinvolgere appieno tutti quei
devoti che in vario modo amano e studiano questa bella
figura di Santo.
umbertobattini@gmail.com
ARTICOLO del 2011
articolo sopra:
quotidiano di Piacenza LIBERTA' di giovedì 17 febbraio 2011
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articolo tratto dal
quotidiano di PIACENZA - LIBERTA' - lunedì 6 settembre 2010
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