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UNA CASATA EGEMONE
i Confalonieri feudatari del Borgo Calendasco
La Casata dei Confalonieri a Piacenza e nel territorio ha radici
molto lontane, già nel 846 compare nominato Anduyno de Confalonieriin una carta relativa a Bobbio per il diritto dei benedettini di
navigazione libera sui fiumi Po e Ticino. Piacenza in età longobarda
aveva la sede di un Ducato, mentre i carolingi la resero centro d’un
Comitato.
Nel Registrum Magnum di Piacenza troviamo nominati i Confalonieri
in tanti atti della comunità: suore nel monastero di S. Giulia di
Brescia che aveva i diritti per la navigazione sul Po, il porto e
traghetto posti al nord-ovest di Piacenza, tra i quali quello appunto di
Calendasco, nel 1198 erano la domina Helena Confanoneria e la domina
Mabilia Confanonera.In un’altra carta del 1277 compare nominata sempre per diritti
relativi al Po, Leonor Confalonieried in un Cartula societatis fatta a Piacenza il 17 febbraio
1200 si legge di Arduino Confanonerius che chiede per sè e per
Giovanni Rogna il diritto di estrarre acqua dal Nure per mezzo di un
canale, per portarla a due molini in costruzione.
Sappiamo con certezza che erano al
servizio del Vescovo nei secoli XI – XIII, ed in quanto famiglia
guelfa a seconda dei momenti politici di Piacenza, subirono come altre
casate nobiliari momenti positivi e periodi di aspra contesa e lotta ed
i Confalonieri erano “antichi capitanei episcopali che si erano
inseriti nella lotta per il predominio cittadino ed avevano assunto il
potere assieme ai capi della fazione nobiliare che nel 1310 aveva
battuto Alberto Scotti”.
A Piacenza dopo il 1220 si impone il sistema politico retto dal Podestà,
che diventa arbitro tra le varie fazioni, nel 1242 troviamo in carica Manfredo
Confalonieri.E’ una Casata molto prolifica, ad esempio in carte del 1282 e 1283
troviamo citati vari componenti: Jacopo Confalonieri con i figli
Alberto, Bernabò e Filippino ed ancora Bernardo figlio di
Oprando Confalonieri.
Ai Confalonieri era espressamente
riservato il controllo dei passi sul Po e quindi anche la relativa
riscossione delle gabelle per transitare lungo l’alveo piacentino del
Po per certi ben definiti tratti.
Calendasco nei secoli X – XII era sottoposto alla giurisdizione del
Vescovo-Conte di Pacenza
e nel 1162 il Podestà che aveva messo personalmente il Barbarossa,
Arnaldo detto il ‘Barbarava’, restituisce al vescovo di Piacenza Ugo
poteri e diritti, tra cui quelli sopra agli abitanti del distretto e del
territorio rurale nei dintorni della città;
su questo territorio era l’importante strada di origine romana, Placentia-Ticinum
(Piacenza-Pavia) e poco discosto dal burgi Calendaschi era il
porto sul fiume ed il traghetto.
Piacenza vedeva confluire sul suo territorio tre grandi vie: “La
prima, la ‘via francigena’, conduceva i pellegrini che venivano dai
paesi ‘franchi’ per andare a Roma. Essa sboccava sul Po, varcandolo
a nord di Piacenza attraverso un passo che non era controllato dal
governo comunale perchè, dall’età longobarda, si trovava in possesso
del monastero di S. Giulia di Brescia. La ‘via francigena’
attraversava da ovest a est il territorio piacentino...”.
Sul porto della Via Francigena rientrante nel contado di Calendasco,
abbiamo la Cartula concordie et pacti fatta tra piacentini e
ferraresi per avere libero movimento sul Po e garanzia per cose e
persone: “... Et Ferrariensis debe esse salvus et custoditus in
persona et in habere in Placentia et in districtu Placentie, et non
debet dare aliquam dationem in Placentia vel in districtu Placentie,
nisi duos solidos de fune navis et unam libram piperis super rivum et
unam aliam libram piperis ad Roncarolum de sterio...”, nessuna
tassa quindi, ma solo una piccola parte
in denaro e pepe – spezia preziosissima nel medioevo – da
pagare al porto di Sopra rivo, che è a soli due chilometri da
Calendasco.
Una carta del 1056 parla dei beni venduti
che sono in eodem loco Calendasco e che sono posti desuper
strata Romea in integrum e queste terre hanno degli appezzamenti sui
quali è possibile costruire delle case e fattorie, cioè sedimen,
ed ancora terre arabilis atque gerbidis et buscaleis cum illorum
areis insimul iuges viginti quinque”, tra l’altro queste
‘boscaglie’ poste intorno a Calendasco possono ben adattarsi
all’incendio che San Corrado provocherà nel primo 1300.
La chiesa sorse sopra un monticello
assieme al primo nucleo del castello, dalle carte longobarde sappiamo
che l’oratorio di S. Maria riceveva dai rustici, la decima.
Un diritto riservato alle chiese insigni pievane, Calendasco però aveva
la particolarità di essere feudo diretto del Vescovo di Piacenza nel XI
secolo e quindi per proteggere le popolazioni che qui risiedevano per
lavorare le terre si costruì un recetto.
foto:
veduta dal fiume Po di Calendasco - da sin. è visibile il Recetto XI
sec.
il
grande Castello con torre del XIII sec. e la chiesa documentata nel VIII
sec.
Oggi il recetto appare
addossato al castello maggiore ed ancora nel 1500 nei documenti si
evidenzia la distinzione tra ‘castello’ e ‘recetto’: i recetti,
che sono depositi dei generi prodotti dal lavoro della terra, sorgono a
protezione delle popolazioni rurali e degli ammassi di cereali, biade e
vino. Nell’Estimo farnesiano alcune case sono a confine con la
fossa del rezeto oppure con la piazza del rezetto, ma già
nel
1461 in
accordi tra il sacerdote Guglielmo De Ferrari e i Confalonieri, veniva
deciso il libero passaggio sul ponte che immetteva al recetto.
Questi ‘recinti difensivi’
detti recetti hanno al loro interno abitazioni provvisorie; col tempo i
recetti è provato che divengono nuclei importanti per un successivo
centro abitato; il recetto di Calendasco, di proprietà vescovile nei
secoli X-XII, è sorto lungo la strata romea, “percorso su
cui in epoca medievale si doveva ancora rilevare il lisostrato di età
romana”.
Le carte più antiche che ci parlano
dei Confalonieri conservate nell’Archivio della chiesa di Calendasco
datano a partire dal 1461, ma in Archivio di Stato di Piacenza se ne
conservano da ben prima di quella data e per buona parte comunque
inedite. Il documento fatto dal notaio nel rezeto Calendaschi il
19 ottobre 1448
ci fa intendere che esso era attaccato al castrum, compaiono
i Nobili Confalonieri e nel recetto vi abitavano più persone. Una carta
del 1447 ci dice che una persona che aveva dimora dentro al recetto
viveva distintamente sub lege romana,
il presbitero che compare in questo periodo è Guglielmo de
Ferrari. La carta del 12 gennaio 1461 è stata fatta nella Curia di
Piacenza, alla presenza del Preposto Paolo Malvicini De Fontana, con i
notai piacentini Antonio Gatto e Pietro De Jerondi, essa interessava il Dominus
presbiter Gulielmus de Ferrariis rector ecclesiae sanctae Mariae de
Calendascho Placentinae Diocesis ed anche i Nobilis vir Bernabos
de Confanoneriis filio Divi Ludovici, la Nobil Donne Helena
matris suae, viene pure citato Antonio Confalonieri
ove si specifica che è fratello di Bernabò e Magdalena, la
quale ritengo con certezza essere la stessa che ritroveremo come Abbatissa
nel monastero di S. Chiara di Piacenza nei primi anni del 1400,
e si cita anche il Marchese di Piacenza Malvicini De Fontana.
Queste
concessioni tra i Nobili e il parroco della chiesa, vanno ad interessare
terre casamentate et in parte canelate poste in burgo dicti
loci Calendaschi: tra l’altro comprendono un ben definito jus
irrigandis ed uno jus cimitterius.
Le terre sono poste vicino al castello incipiendo strata
introitus dicti riceti sive roche sive castri Calendaschi, od anche
hanno confine versus sera Tantum Castrum,scopriamo che quello che
oggi è un semplice grande canale, qui è citato quale flumen
Ranganelle vivue e flumen Ranganelle mortue, alcune coerenze
sono con il rivo Macinatore, rivus macinatorius di proprietà dei
Nobilis de Confanoneriis ai quali appartiene il cavo adaquatorium;
quali testimoni del cambio e permuta di terreni, si citano venerabilis
Dominus Jacobi de Ambrosii canonico della Chiesa maggggiore
piacentina (la Cattedrale) e Antonio de Abiatici Arciprete della
Pieve e Chiesa di S. Germano di Podenzano.
Una stipula di enfeteusi del
1670 ha
coerenze con la strata campestra mediante fossato divisorio
mentre la terra è libera cioè allodiale et franca con però
l’obbligo di non alienare ne vendere ab aliquo loco religioso ne
militare, la carta si conclude con il segno del notaio, con valore
di sigillo che attesta la pubblica fede e l’autentica dello scritto.
E’
da notare che nelle carte Calendasco ha dignità di Borgo, cioè
rientrava in quel ristretto nucleo di luoghi che avevano preminenza su
altri minori, tra 1200-1300
sappiamo che i più importanti borghi posti sulla Via Francigena erano
Fontana Fredda, Fiorenzuola d’Arda e Calendasco.
Inoltre con rogito notarile tutta l’area a nord-ovest di Piacenza
prossima al Po, fu ceduta dagli Scotti al vescovo di Piacenza proprio
negli anni della maturità di San Corrado.
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