STORIA DEL CULTO AL
PATRONO
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LA FESTA DI SAN CORRADO CONFALONIERI A
NOTO
a cura di
BIAGIO IACONO
Tratto dal volume di MARIA ADELE DI LEO: FESTE POPOLARI DI
SICILIA
Newton & Compton Editori – ROMA – 1^ Edizione Ottobre 1997,
pagg.47/53
Corrado Confalonieri nacque a Piacenza nel 1290. Si narra che
avesse rinunciato alle sue ricchezze in seguito alla condanna di
un uomo ingiustamente accusato di aver appiccato il fuoco a un
bosco causando gravi danni. Corrado, che si trovava in quel
bosco per una partita di caccia, se ne addossò la colpa e, una
volta risarciti i danni causati dall’incendio, decise di
dedicare il resto della propria vita alla preghiera e alla
penitenza. Giunto in Sicilia per predicare la fede di Cristo,
scelse di vivere da eremita sul colle di Acre, ma, cacciato
dagli abitanti del luogo, si stabilì vicino a Noto antica, nella
grotta dei Pizzoni, dove visse in solitudine sino alla morte
avvenuta il 19 febbraio del 1351.
Il culto per san Corrado, già radicato in questa zona, si
diffuse in Sicilia fin dal 1515, quando papa Leone X permise che
le reliquie del Santo fossero custodite in un’urna d’argento per
essere venerate dai fedeli. Corrado venne santificato nel 1544
da papa Paolo IV.
La prima processione dedicata al Santo ebbe luogo a Noto antica
nel l’agosto del 1525. Successivamente, nel 1643, il consiglio
civico lo elesse suo protettore e patrono. La città di Noto
antica, che era stata un centro importante sotto la dominazione
araba — tanto che si cominciò a chiamare Vai di Noto una delle
tre parti in cui fu divisa la Sicilia —, fu quasi completamente
distrutta dal terremoto del 1693. Il luogo fu dunque abbandonato
dagli abitanti e nel 1703 sorse a 6 chilometri più a valle la
nuova Noto, un vero gioiello del barocco. Dal 1643 san Corrado
vi si festeggia due volte l’anno: il 19 febbraio, giorno della
sua morte, e l’ultima domenica di agosto, quando l’urna del
patrono viene portata in processione in tutto il paese, fin
dentro ai vicoli dei quartieri popolari. Nel tardo pomeriggio
dell’ultima domenica di agosto, l’urna d’argento contenente le
sue reliquie esce dalla cattedrale portata a spalla, secondo un
antico privilegio, dai componenti della Confraternita dei
portatori di san Corrado, che indossano un camice bianco e in
capo un fazzoletto. Seguono il clero e la banda musicale, mentre
in testa alla processione sfilano i bambini con indosso il saio
del santo, seguiti dalle donne a piedi nudi che recano in mano
una torcia accesa. Da ultimo sfilano le varie confraternite:
quella dei cappuccinelli, composta dai contadini; la
Confraternita di santa Caterina, costituita dai muratori e la
Confraternita delle anime sante, che riunisce i calzolai.
Ciascuno indossa il costume della propria confraternita e reca
la coppa su cui sono incise le immagini devozionali dedicate al
Santo e lo stendardo di appartenenza. Ai lati dell’urna
d’argento sfilano i portatori dei cilii, grossi ceri montati su
un fusto di legno, sul quale sono dipinte scene della vita del
santo. La folla dei fedeli partecipa innalzando grossi ceri
accesi e molte donne procedono scalze per sciogliere un voto.
Durante la processione, i genitori avvicinano i figli piccoli
fino a tocca re l’urna, detta anche vara d’ ‘i picciriddi, come
atto devozionale teso a invocare la guarigione, soprattutto di
chi soffre di ernia, come ricorda il Pitré: «sulla macchina
stanno adagiati quanto più ce n’entrano bambini erniosi (e da
qui la ingiuria di baddusi appioppata ai notigiani). Tutti sono
stati e sono osservati dal chirurgo, con la cui assistenza il
Santo li guarisce. Ma le guarigioni non vengono operate
dappertutto; v’è un sito, un sito solo nel quale possono, anzi
devono aversi: la piazza della chiesa del Crocefisso. E già vi
siamo giunti; e l’urna è entrata: questo il momento solenne. Le
madri pregano, supplicano così pietosamente che si spezzerebbero
anche le pietre: è impossibile che il Santo non si commuova. Il
chirurgo allora prende un bambino e ne osserva i gonfi: Mira
bile dictu! i gonfi sono scomparsi; il bambino è guarito: un
urlo di viva San Currau! echeggia
per la piazza» (Feste patronali).
Il corteo, dopo la sosta durante la quale i fedeli visitano la
chiesa del Santissimo Crocefisso, raggiunge la Cattedrale dove
una folla di devoti attende per assistere alla
trasutari San Currau
(l’entrata di san Corra do), cioè l’ingresso dell’urna nella
Cattedrale. E’ il momento più spetta colare della processione: i
portatori dei cilii eseguono una corsa, come fosse una danza,
mentre i portatori del simulacro del patrono salgono di corsa le
tre rampe di scale della Cattedrale, per far rientrare le reli
quie in chiesa. Gli applausi e gli incitamenti dei fedeli
accompagnano l’urna, mentre i portatori dei cilii continuano a
eseguire la loro danza in onore del Santo.
Una volta si usava fare la penitenza della lingua a
trasiniuni (strisciare la lingua), per cui chi seguiva in
processione l’urna leccava i gradini dello scalone della
Cattedrale come atto penitenziale o al fine di sciogliere un
voto.
Ogni dieci anni l’urna viene portata dalla confraternita, sempre
a spalla, fino all’eremo di San Corrado fuori le mura, seguita
da una immensa folla di fedeli.
Corrado è anche patrono di Avola, la cittadina fondata nel 1695
dal principe Nicolò Aragona Pignatelli. Qui si festeggia il
Santo con una processione denominata San Currau ar,iggira (san
Corrado ritorna), che inizia la domenica successiva a quella in
cui ha luogo la processione di Noto. In passato alla vigilia
della festa si svolgeva una corsa, che rievocava una scorreria
dei turchi, dalla quale il paese si sarebbe salvato per
intercessione del Santo. Dopo la corsa veniva portato in giro,
per il paese uno stendardo altissimo, issato su di un mulo
accompagnato da una processione di fedeli recante delle fiaccole
accese. Oggi ci si limita a una pantomima che rievoca la
suddetta scorreria turca.
Fino a non molto tempo fa ad Avola, la mattina del 19 febbraio
si radunavano in chiesa i poeti, che erano contadini e gente
semplice. Essi si esibivano su un piccolo palco allestito dentro
la chiesa, recitando dei versi in rima e delle lodi in ottave
siciliane dedicate al patrono, per invocarne la protezione. Il
Pitré così li descrive in Spettacoli e feste popolari:
La mattina del 19 verso la Salve si adunavano in chiesa i così
detti Poeti a cantare l’un dopo l’altro, saliti sopra un piccolo
pulpito, le lodi di S. Corrado in ottave siciliane con le solite
rime alterne. Questi poeti che gettavan giù dei versi con la più
disinvolta franchezza e non di rado con frizzi e concetti
veramente originali, sono tre o quattro appartenenti alla classe
dei contadini, analfabeti del tutto e senza alcuna coltura; e
per sempre, per uno che ne muoia, ne sorge un altro a prenderne
il posto. Il tema di queste loro canzoni, oltre una succinta
biografia del Santo, era d’invocare il suo patrocinio pel
cattivo andamento delle stagioni e per le miserie di cui il
popolo si trovasse travagliato. E poiché non ne venivano
risparmiate le autorità locali pel loro mal governo e pè loro
abusi, questa cantata mattutina è stata da qualche anno, con
sommo di spiacere del popolo minuto, interdetta.
Durante la processione il simulacro del Santo fa il giro di
alcune chiese del paese e quando giunge davanti alla chiesa di
Sant’Antonio, secondo la tradizione popolare, sembra diventare
così pesante che, nono stante gli sforzi dei portatori, è
impossibile spostarlo da terra. E quello che viene comunemente
detto, l’arrigirata di san Currau (san Corrado ritorna). La
scena dovrebbe rievocare gli antichi contrasti tra notigiani e
avolesi per il possesso delle reliquie del Santo. In particolare
rappresenta un fatto prodigioso avvenuto allorché la bara del
Santo, non riuscendo a entrare nella chiesa del Crocefisso, per
quanto era diventata pesante, con sorpresa di tutti divenne
improvvisamente leggerissima allorché si decise di portarla alla
chiesa matrice.
a cura di
BIAGIO IACONO
Tratto dal volume di MARIA ADELE DI LEO: FESTE POPOLARI DI
SICILIA
Newton & Compton Editori – ROMA – 1^ Edizione Ottobre 1997,
pagg.47/53
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