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TESTI
VARI di cultura corradiana
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San
Corrado penitente,
modello di conversione
· Lasciamoci riconciliare
con Dio! · Se
riconosciamo i nostri peccati, Egli che è fedele e giusto
ci perdonerà e ci purificherà
da ogni colpa
(1 Gv 1, 9).
Pala altare del Patrono,
parrocchiale di Calendasco, sec. XVI
A
Noto, nei mesi di febbraio e agosto,a tutte le ore tante anime
devote compiono il “viaggio votivo” a piedi scalzi da casa
alla chiesa cattedrale, santuario che custodisce l’Arca
argentea di San Corrado, per implorazione o per grazia ricevuta.
Antica e lodevole espressione popolare penitenziale che,
pastoralmente indirizzata, aiuta quei devoti ad aprirsi a Cristo
e a vivere la sua grazia nei sacramenti della Confessione e
dell’Eucaristia.
All’inizio
di questa santa quaresima, ascoltiamo quanto ha scritto il 1°
biografo del Santo eremita piacentino (codice del sec. XIV): 1]
«Il vescovo di Siracusa ebbe grande devozione e volle andare
[alla grotta dei Pizzoni] per vedere quest’uomo che era di
tanta virtù, e disse: “Padre come state”? Ed egli: “bene,
per la grazia di Dio”. E il beato Corrado prese la benedizione
del vescovo».
Anche
noi possiamo rispondere lo stesso? Sono
le virtù teologali la fonte d’ogni bene nel battezzato, perché
sviluppano armoniosamente l’organismo spirituale della santità.
La fede - che si alimenta con la preghiera operosa - influenza
positivamente il nostro modo di riflettere e agire, di scegliere
e percepire, ed orienta la nostra quotidianità.
L’altra
virtù è la speranza: quando più si spera in Dio, tanto più
da Lui si ottiene. Poi la carità, che ha per base l’amore di
Dio bene supremo e del prossimo. 2] Quando frate Corrado portò
quattro pagnotte calde, il vescovo si inginocchiò e disse:
“Siete ancor più di quanto si dica di voi”. Il beato
Corrado si inginocchiò dall’altra parte e rispose: “Signor
vescovo, non sono quello che voi pensate; anch’io sono
peccatore come gli altri”». Nella lettera autografa per il 7°
centenario della nascita di S. Corrado, Giovanni Paolo II lo
additava quale modello di «radicale coerenza evangelica» e di
«autentica conversione del cuore al servizio di Dio e di ogni
prossimo».
Urge
ricuperare il legame tra sacramento della penitenza ed
evangelizzazione. A noi, forse, capita di non saper esprimere i
nostri peccati perché non riusciamo più a dire bene chi è
Dio. Se, un tempo, un po’ di catechismo ai bambini poteva
sembrare sufficiente, oggi nel cuore della secolarizzazione il
richiamo alla confessione sacramentale ha bisogno di motivazioni
più forti a livello di fede.
Occorre
partire dall’annuncio della misericordia di Dio, dalla
chiamata all’impegno e alla scelta; occorre riportare il
sacramento nel cuore della riconciliazione-conversione, cioè
riprendere un itinerario di fede, di catechesi: ritrovare il
luogo della decisione globale. «Dio ricco di misericordia, per
il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo
per i peccati ci ha fatti rivivere in Cristo» (Ef 2,4).
La
mentalità contemporanea tende ad emarginare e distogliere dal
cuore umano la misericordia, anzi tende a gettarlo in balia
della violenza e della criminalità che seminano corruzione,
rapimenti, stragi.
Noi,
come san Corrado, celebriamo in Cristo la misericordia del Padre
e chiediamo allo Spirito Santo la docilità del cuore. Abbiamo
bisogno di tanta misericordia da parte di Dio e di tanta
preghiera gli uni per gli altri.
Ci
accompagnino nella vita la Provvidenza di Dio, la benedizione
della Madonna e la protezione di san Corrado!
Mons. Salvatore Guastella
Santa quaresima 2009
Omelia
del Card. Michele Pellegrino,
già arcivescovo di Torino
Cattedrale
di Noto, 30 agosto 1981
1. S.
Corrado pellegrino: il ricercatore di Cristo. Non era cosa
da poco ai suoi tempi partire dal nord, da Piacenza, percorrere
tutta l’Italia e capitare qui a Noto. Oggi, chi dal nord vuole
venire in Sicilia, con un’ora e mezza circa di aereo vi arriva,
come pure con 20/24 ore di treno, secondo i ritardi. Ma allora era
un po’ diverso.
Corrado col suo bordone di
pellegrino, vestito da francescano, percorre a piedi lentamente
tante regioni d’Italia e poi viene a fissare la sua dimora qui.
Il pellegrinaggio ha radici lontane, nella Bibbia. Abbiamo sentito
dalla 1ª lettura che Dio dice ad Abramo: “Vattene dal tuo
paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese
che io t’indicherò”. E Abramo puntualmente obbedisce
all’ordine di Dio e parte, pellegrino, per un lungo viaggio che
non sapeva dove e come sarebbe terminato. Ma così Dio gli aveva
detto. Così faranno i patriarchi Isacco e Giacobbe. Saranno
anch’essi pellegrini in cammino. Così farà il popolo ebreo
quando, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, attraverso un
lungo cammino di quarant’anni arriverà alla Terra Promessa. E
fin dai primi secoli noi vediamo i cristiani pellegrini. Sono
stati pellegrini gli Apostoli i quali, ascoltando il mandato di
predicare il Vangelo in tutto il mondo e arrivano là dove possono
portare la luce del Vangelo. I pellegrinaggi cominciano presto
verso la Terra Santa, santificata dalla presenza di Gesù.
Continuano ancora.
Noi tutti conosciamo i pellegrinaggi ai santuari di Compostella,
Lourdes, Loreto, Fatima e in altri santuari. Quanti pellegrini
siciliani ho visto a Torino in occasione dell’esposizione della
Sacra Sindone, per non dire le centinaia e migliaia di siciliani
che si sono stabiliti a Torino e forse attendono con desiderio di
poter tornare con un piccolo gruzzolo al loro paese natìo
lasciato per necessità. In questo momento sono anch’io
pellegrino, arrivo dalla Sardegna e da Roma e poi da qui tornerò
in Piemonte… Ecco cosa vuol dire essere pellegrino. Siete
pellegrini anche voi “portatori dell’arca di S. Corrado”, i
quali per ore e ore percorrete chilometri e chilometri di strade
in omaggio al vostro Santo! Che significa essere pellegrini come
Abramo e Corrado? Significa obbedire alla voce di Dio, andare là
dove Dio comanda a noi, che non siamo padroni della nostra vita.
Dobbiamo cercare la volontà di Dio; e quando egli ci comanda di
partire, noi partiamo.
Per esempio, ho incontrato in Africa e in America Latina dei
vostri corregionali, dei siciliani che hanno accolto la voce del
Signore, sono andati là a portare il Vangelo e ad aiutare i
fratelli poveri e bisognosi del Terzo Mondo. Essere pellegrini
vuol dire sapersi staccare, quando il Signore vuole, dalle realtà
terrene, le realtà che S. Paolo definisce “lordure”, come
cose da niente in confronto a quello a cui il Signore ci chiama (Filippesi
3,8); vuol dire non attaccarsi alle cose che passano (denaro,
piacere, potere). Siamo tutti pellegrini in questa vita. Se
l’Apostolo avesse potuto scrivere una lettera alla Chiesa di Dio
che è in Noto, avrebbe probabilmente incominciato così: “Alla
s. Chiesa di Dio pellegrina in Noto”, come diceva alla Chiesa di
Corinto o di Filippi o delle altre comunità. Ecco, soprattutto,
che cosa significa cercare da pellegrini. Ascoltiamo S. Paolo:
egli ha cercato “il vantaggio inestimabile della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore”. Anche San Corrado è andato alla
ricerca di Gesù Cristo e così la sua festa che noi celebriamo
vuol essere un aiuto ad avvicinarci a Lui. I santi non sono uno
schermo che ci fa dimenticare Cristo, come ci accusano i
Protestanti. No, i santi vogliono che, attraverso loro, andiamo a
Cristo: ci prendono quasi per mano e ci conducono al Signore, come
ha fatto S. Corrado con il suo esempio e gli insegnamenti.
Un’altra risposta la troviamo in quello che Gesù dice a S.
Pietro, il quale con audacia gli aveva chiesto: “E noi, che
abbiamo abbandonato tutto per seguirti quale ricompensa ne
avremo”? E Gesù prontamente: “In verità, vi dico, quando
sorgerà il mondo nuovo, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua
gloria per assidersi sul trono, anche voi che mi avete seguito
starete assisi su dodici troni per giudicare le dodici tribù
d’Israele”; e poi dirà: “Chiunque abbia lasciato per amor
mio fratelli e sorelle, padre o madre, moglie o figlioli o i
propri campi, riceverà il centuplo e possederà la vita
eterna”. Il centuplo già in questa vita perché il Signore
ricompensa chi lo segue con cuore sincero, non lasciandosi vincere
dal denaro né dalla ricerca del prestigio e del piacere.
Gesù dà già in questa vita le gioie che valgono di più e
soprattutto la vita eterna. Noi tutti siamo pellegrini verso
l’eternità. Ecco allora come la devozione a S. Corrado deve
richiamarci ai valori eterni, che sono quelli che veramente
contano; tutto il resto passa! Ho sentito dire che la vostra città
è così bella – [io ho ammirato questa vostra piazza, la
cattedrale, la basilica del Ss. Salvatore il Palazzo Comunale
l’antico collegio dei Gesuiti] – e tutto questo venne
costruito dopo il tremendo terremoto del 1693: la vostra Noto
Antica è scomparsa in conseguenza di quel sisma, come tanti paesi
in Italia e fuori anche recentemente. Tutto è destinato a
sparire. Auguriamoci che non sparisca mai questa Noto dei nostri
giorni. Ma è certo che ognuno di noi è un pellegrino in cammino
verso l’altra vita.
2. S.
Corrado eremita: in silenzioso ascolto di Dio. L’altro
pannello del trittico si può definire così: l’Eremita!
Ad un certo momento il Signore gli ha fatto capire che è giunta
l’ora di fermarsi, e si ferma a Noto, si stabilisce qui nella
solitudine del deserto dei Pizzoni, nella preghiera,
nell’accoglienza di coloro che vengono a lui per avere
consiglio, conforto, aiuto di preghiera. Anche qui il santo si
mette in una strada che ha lunghi precedenti. Noi pensiamo al
profeta Elia, agli anacoreti della Tebaide, a sant’Ilarione…
Io penso, ad esempio, a Camaldoli, ai tanti eremi dove ho avuto la
gioia di sostare.
Anche oggi c’è chi sente
questa vocazione alla vita eremitica. Quanti giovani e non
giovani ho incontrato in questi luoghi di solitudine e di
preghiera che danno ossigeno all’anima. San Corrado ha qualcosa
da insegnare anche a noi. E’ necessario che troviamo i momenti
di silenzio e di raccoglimento nella nostra vita. Abbiamo tutti
bisogno di ascoltare la Parola di Dio nella preghiera per il
servizio ai fratelli. Mi ha fatto impressione un libro scritto da
una russa emigrata in America e lì ha dato vita a quello che i
russi chiamano “la pustigna”, il deserto. E ci sono molti che
si ritirano in una capanna con una brocca d’acqua e un pane al
giorno, un giaciglio per riposare e lì passano giornate,
settimane per ascoltare la voce del Signore e per rifarsi
spiritualmente. Fratelli, abbiamo bisogno di ristabilire la scala
dei valori.
L’uomo non è fatto solo per produrre e consumare: è fatto per
intendere, aprire la sua intelligenza e capire gli altri e capire
Dio; è fatto per amare Dio e i fratelli, e per questo c’è
bisogno di sottrarsi al rumore del mondo che non ci lascia
pensare, di fare, come Corrado, un po’ di esperienza eremitica,
un po’ di silenzio, un po’ di preghiera e tutto questo, come
dice S. Paolo, per conoscere e amare meglio il Signore e –
quando il Signore dispone - anche partecipare alle sue sofferenze.
3. S.
Corrado, uomo del “pane caldo”: la passione per i
sofferenti. Contemplazione non è alienazione. Domani mattina con
tanta gioia andrò ad incontrarmi con le sorelle Carmelitane
Scalze. C’è chi pensa che chi si dà a questo tipo di vita si
alieni, dimentica la realtà della vita e i bisogni dei fratelli.
San Corrado non ha dimenticato i fratelli e a coloro che venivano
da lui – fosse un vescovo o una persona del popolo – non
soltanto sapeva offrire consigli spirituali salutari, ma sapeva
dare anche un pane, il pane.
Come del resto hanno fatto gli eremiti di tutti i tempi. Ad
esempio, gli anacoreti nel deserto lavoravano intessendo cestini
con i giunchi, e poi li vendevano al mercato per dare il ricavato
ai poveri. Dunque S. Corrado dà il pane. V’è tanto bisogno del
pane nel mondo. Nelle grandi città c’è chi sperpera i soldi,
mentre c’è chi soffre veramente. Se tu guardi intorno, se non
chiudi gli occhi, se non aspetti che ti vengano a chiedere
l’elemosina – perché non sempre i poveri sono quelli che sui
marciapiedi tendono la mano per l’elemosina – forse tu trovi
un fratello che ha bisogno di pane.
E non c’è soltanto il pane che riempie lo stomaco ma c’è
anche il pane spirituale, un po’ di aiuto a chi è solo, agli
anziani che sono abbandonati, a certi ammalati che negli ospedali
sono considerati dei numeri, agli handicappati, a tanti
emarginati. E’ dunque necessario impegnarsi. Grazie a Dio questo
impegno io lo vedo, è ormai diffuso. Sul vostro settimanale ‘La
vita diocesana’, sia pure fugacemente, ho letto notizie di
vostre iniziative per handicappati e per terremotati, e sono
convinto che è necessario moltiplicare sempre più quest’impegno.
Ho detto: San Corrado è l’uomo del pane caldo! Perché pane
caldo? Penso a quello che avveniva quando ero bambino in un paese
di campagna. Si faceva il pane in casa. Ogni cascina aveva il suo
forno e si considerava un dovere di ospitalità appena sfornato il
pane ancora caldo; papà e mamma a noi bambini dicevano: e adesso
lo porti al tale, e adesso lo porti al tale altro; tanto meglio se
si trattava di poveri. Che vuol dire pane caldo? Vuol dire non
quel pezzo di pane raffermo che tanto nessuno lo mangerebbe più e
che si darebbe ai conigli o ai maiali, ma quel pane caldo che è
appetitoso, che invita col suo profumo. E questo esprime una
sfumatura della santità di Corrado e dice la sua delicatezza e
attenzione per il prossimo. E’ così che dobbiamo comportarci
con gli altri: non aspettare che essi siano gentili e attenti a
noi. Tanto meglio se ci usano questa attenzione, come io l’ho
trovata in mezzo a voi, ma cercare noi a nostra volta di essere
attenti verso gli altri; mai chiuderci nel guscio del nostro
egoismo.
Ebbene, di
tutto questo San Corrado ci è di mirabile esempio e anche di
aiuto. Nei santi noi dobbiamo vedere dei fratelli che ci
hanno preceduto con il loro esempio per normare su di essi la
nostra vita e degli amici che nella gloria del cielo intercedono
per noi.
Rivolgiamoci quindi
all’intercessione di San Corrado, che ci aiuti ad
ottenere tutto quello che noi legittimamente vogliamo chiedere al
Signore nell’ordine temporale e in quello spirituale, e
soprattutto ci ottenga di imitare i suoi esempi: di saperci anche
noi considerare pellegrini in cammino verso la patria eterna che
ci attende, sapere ascoltare la Parola di Dio e parlare con Lui
nel raccoglimento e nel silenzio per dare ai fratelli che hanno
bisogno il pane materiale e il pane spirituale.
Sulla
vita solitaria
L'eremita
rimane là per dimostrare, con la sua mancanza di utilità pratica
e l'apparente sterilità della sua vocazione, che gli stessi
monaci dovrebbero avere scarsa importanza nel mondo, o addirittura
nessuna. Sono morti al mondo, non dovrebbero più apparire in
esso. E il mondo è morto per loro. Sono pellegrini, testimoni
appartati di un altro regno. Questo, naturalmente, è il prezzo
che pagano per una compassione universale, per una solidarietà
che tutti raggiunge. Il monaco è capace di compassione nella
misura in cui è meno coinvolto, e con minore successo, nelle
cose pratiche, perché lo sforzo di avere successo in una società
competitiva non lascia tempo alla compassione.
L'eremita ha un ruolo particolare nel nostro mondo perché non ha
un posto specifico. Il monaco non è ancora abbastanza un esule.
Ecco perché abbiamo bisogno degli eremiti. Il monaco può essere
capito e apprezzato. Non appena si paragona il monastero a una
"centrale di preghiera", il mondo è pronto a riconoscergli,
anche se a malincuore, un certo rispetto. Una centrale produce
qualcosa. E, così sembra, le preghiere dei monaci producono una
specie di energia spirituale. O, per lo meno, i monaci si
prendono cura delle proprie necessità e guadagnano un pò di
denaro. Sono come una presenza confortante. La presenza
dell'eremita, quando la si conosce bene, non è piacevole; disturba.
Egli non sembra nemmeno buono. Non produce niente.
Una delle critiche più diffuse nei confronti dell'eremita può
addirittura essere che perfino nella sua vita di preghiera è meno
"produttivo". Verrebbe da pensare che nella sua
solitudine egli dovrebbe raggiungere velocemente il livello delle
visioni, delle nozze mistiche o comunque di qualcosa di
sensazionale. Invece può ben essere che sia più povero del
cenobita anche nella sua vita di preghiera. La sua è un esistenza
fragile e precaria: ha più preoccupazioni, è più instabile,
deve lottare per preservarsi da tutta una serie di fastidi, e
spesso ne è preda. La sua povertà è spirituale. Pervade
interamente la sua anima e il suo corpo, così che alla fine tutto
il suo patrimonio è l'insicurezza. Sperimenta il dolore e
l'indigenza spirituale e intellettuale di chi è davvero povero.
Questa è esattamente la vocazione eremitica, una vocazione
all'inferiorità a ogni livello, anche quello spirituale. E’ certo
che vi è in essa un pizzico di follia. Altrimenti non è ciò che
dovrebbe essere, una vita di diretta dipendenza da Dio, nell'oscurità,
nell'insicurezza e nella fede pura. La vita dell'eremita è una
vita di povertà materiale e fisica senza sostegno visibile.
Ovviamente non bisogna esagerare o essere troppo assoluti in
questo. L'assolutizzazione in se stessa può diventare una specie
di "fortuna" e "onore". Dobbiamo anche tener
presente il fatto che l'uomo medio è incapace di una vita in cui
l'austerità sia senza compromesso. Esiste un limite oltre il
quale la debolezza umana non può andare e in cui la stessa
mitigazione entra come una sottile forma di povertà. Può
accadere che, senza colpa, l'eremita si procuri un'ulcera proprio
come l'uomo normale. E deve bere grandi quantità di latte e forse
anche prendere delle medicine. Questo lo sbarazza definitivamente
di ogni speranza di divenire una figura leggendaria. Anche lui si
preoccupa. Forse si preoccupa anche più di altri, perché solo
nella mente di coloro che non conoscono niente della vita
solitaria questa appare come una vita senza preoccupazioni.
( brano di p. Thomas Merton)
SAN
CORRADO A MALTA
Leggiamo dal
volume del Parisi:
“Stando, infatti, a una antica e ben fondata tradizione che lo
vuole vissuto per non pochi anni – come nel capitolo seguente
diremo – in un eremitaggio dell’isola di Malta, è
giocoforza ammettere che la sua permanenza in Sicilia dovette
essere al ritorno da questo suo viaggio in Terra Santa,
altrimenti non potrebbe spiegarsi dove abbia passato tanti anni
prima di giungere nel 1343 a Noto. Fu dunque dopo molti anni, e
proprio dopo aver lasciato l’isola di Malta, che egli venne a
stabilirsi in Sicilia. Nessuno dei suoi biografi stabilisce con
certezza dove in Sicilia, partendo da malta, approdò…”.
(Giovanni Parisi San Corrado Confalonieri Patrono di Noto, pp.
26-27, 2^ edizione, Ediz. La Cattedrale 1984, Noto)
E ancora possiamo leggere:
“A Noto – come abbiamo già accennato – Corrado non arriva
proveniente dal romitorio piacentino, ma da un suo
pellegrinaggio in Terra Santa e più direttamente da una sua
permanenza di vari anni nell’isola di Malta” – (p.31
idem).
“In Malta – scrive il Bonfiglio – è viva la tradizione di
una tale sua dimora benché sia avvenuta nel lontano secolo XIV,
e grande, è la devozione che ivi sentono per il nostro Santo”
– “Sbarcato nell’isola – continua il Bonfiglio – trovò
sotto il Casal Musta, nella parte settentrionale, una cava
chiamata Vie el Axsel (= fiume di miele), e quivi fissò la sua
dimora”. (p32 idem).
S.
Corrado…folgorato e trasformato
dalla Parola come S. Paolo
nella foto: Ecc.mo
vescovo emerito
di Noto mons. Salvatore
Nicolosi
Dall’omelia detta da Mons. Salvatore Nicolosi vescovo di
Noto (1970-98)
nell’Eucaristia della solennità liturgica del Santo
Patrono il 19 febbraio 1996
E’
davvero edificante per noi rileggere – in quest’Anno
Paolino, bimillenario della nascita dell’Apostolo delle
Genti – l’originale paragone tra lui e Corrado
Confalonieri, proposto in cattedrale dal vescovo Nicolosi,
nell’omelia del 19 febbraio 1996. Eccone
il testo:
«Carissimi
figli della città e diocesi di Noto, fissiamo
attentamente nel nostro cuore l’ardita esclamazione
dell’apostolo Paolo che abbiamo appena ascoltato:
«Ciò
che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato
perdita a motivo di Cristo, per il quale ho lasciato perdere
ogni cosa e tutto considero spazzatura, al fine di guadagnare
Cristo» (Fil 3, 7-8). Essa esprime pure la scelta radicale di
S. Corrado.
Paolo,
lungo la via per Damasco, viene trasformato da feroce
persecutore in infaticabile apostolo e missionario di Cristo
Gesù, non appena folgorato e convertito dalla presenza e
dalla grazia di Cristo stesso e scopre in Lui crocifisso e
risorto l’atteso Messia, il Salvatore del mondo,
l’inestimabile tesoro per cui vale la pena rischiare ogni
cosa.
Corrado
Confalonieri
nell’imprevisto incidente di caccia viene anch’egli
scosso, folgorato e trasformato dalla Parola e dalla Grazia di
Cristo che lo sollecitano a liberare un innocente indifeso, e
docile a questa sollecitazione proveniente dall’Alto – che
sconvolge ogni logica dei benpensati di questo mondo – anche
lui scopre in Cristo il vero tesoro che può dare senso alla
sua esistenza e appagare le più profonde aspirazioni del suo
cuore.
Corrado, assieme
all’apostolo Paolo, vuole anche oggi trasmettere a tutti noi
il fascino e il valore di questa sua scoperta vitale, di
questa conseguente sua scelta radicale di Cristo, scoperta e
scelta che hanno reso santa e benefica la sua vita, fino a
produrre frutti di conforto, di stimolo e di risveglio
evangelico anche dopo tanti secoli in noi suoi devoti.
Corrado
vuole quasi gridarci che per lui, come per Paolo, la più
profonda aspirazione accompagnata da ferma decisione è stata
quella di perdere tutto pur di guadagnare Cristo:
· perdere la facile
scappatoia che gli avrebbe consentito di farla franca, per
guadagnare Cristo nella coerenza cristiana ed evangelica della
trasparenza e della lealtà;
· perdere la ricerca
smodata, ingiusta ed esclusiva dei propri interessi per
soccorrere con il coraggio e l’amore di Cristo un povero
innocente ed indifeso;
· perdere e distribuire
ai poveri i propri beni e abbandonare la propria patria, per
seguire Cristo povero, casto e obbediente dietro l’esempio
di Abramo, di Paolo e degli Apostoli, come ci è descritto nei
tre brani biblici in questa liturgia in suo onore (cfr. Gen
12, 1-4; Fil 3,7-12; Mt 19,27-29), facendosi pellegrino di Dio
lungo le strade degli uomini;
· perdere, infine, le
comodità e la spensieratezza di una vita borghese, sfrenata,
egoistica e gaudente per immergersi in Cristo e nell’amore
di Dio attraverso il silenzio della preghiera e la
contemplazione della vita eremitica.
Oggi,
mettendosi accanto a ciascuno di noi, San Corrado ci
indica la strada sicura da percorrere e l’alimento
sostanzioso di cui nutrirci, per poter divenire costruttori di
un mondo nuovo, dove c’è posto per Dio riscoperto come
Padre che ci ama e per ogni uomo riscoperto come fratello;
dove l’istintività sfrenata viene moderata dalla virtù,
l’edonismo insaziabile superato dalla sobrietà, l’egoismo
cieco messo in crisi dalla solidarietà, il disimpegno morale
e civico sanato dalla trasparenza e dedizione al bene comune,
la litigiosità aggressiva e la conflittualità preconcetta
curate dal reciproco ascolto e rispetto e da un dialogo
paziente e sincero che non nasconda secondi fini; dove la
laboriosità inventiva nella ricerca di un equo profitto non
disgiunto alla solidarietà sa creare posti di lavoro, così
da sconfiggere le terribili piaghe dell’usura, della
disoccupazione e della criminalità mafiosa; dove, in fine, le
famiglie possano essere aiutate a rafforzare i loro vincoli di
amore e di concordia e la loro gioiosa apertura alla vita e i
giovani possano trovare orizzonti di speranza, per un mondo
futuro migliore, più umano, più fraterno e più giusto.
Ecco
dunque l’impegno che San Corrado ci indica e attende da noi
suoi devoti: impegno che propone il nostro Sinodo a base degli
altri impegni pastorali: ascoltare la Parola con maggiore
frequenza, accogliere con più docilità e testimoniare con
fedele coerenza di vita la Parola di Dio contenuta nella
Bibbia.
E’ quanto mai attuale
questo messaggio della scelta radicale di Cristo, che anche
oggi il nostro Santo ci trasmette. Quindi tocca a noi
cristiani, per primi – dietro l’esempio evangelico dei
santi e nella convinta e radicale sequela di Cristo – saper
cogliere e fare nostri gli aneliti dell’uomo d’oggi verso
Dio e verso Gesù Cristo, verso l’interiorità e la
trascendenza, verso un mondo più pulito e più solidale».
Mons. Nicolosi, nei suoi
ventotto anni d’intenso e generoso servizio episcopale ha
saputo imprimere alla Chiesa Netina un validissimo stile
pastorale, donandosi con generoso disinteresse. A Lui, Vescovo
Emerito di Noto – che il prossimo 20 febbraio celebrerà il
suo genetliaco – auguriamo nella preghiera: Ad multos annos!
Mons. Salvatore Guastella
A
proposito di San Corrado
E
della sua iconografia
di
Umberto Battini
Scrive
mons. Salvatore Guastella nel bel articolo per
“L’Araldo” su San Corrado e la Madonna che “nella
chiesa del Ss. Crocifisso, all’altare delle Anime del
Purgatorio, una tela raffigura il Santo Eremita che, in
ginocchio, impetra da Maria Ss. Scala del Paradiso la
liberazione di quelle Sante Anime.”.
Ebbene,
questa iconografia la ritroviamo in una tela di ottime
dimensioni dei primi decenni del 1900, che oggi si conserva
nella chiesa di San Vitale a Salsomaggiore Terme (Parma),
città termale che un tempo fu sottoposta alla Diocesi di
Piacenza (cosa vera fino a pochissimi anni fa) ed oggi
passata sotto l’amministrazione della Diocesi di Fidenza
(Parma). Sorprende che l’enorme distanza chilometrica che
separa la terra d’elezione del Santo abbia invece permesso
la diffusione del ‘modello’ iconografico attribuibile a
San Corrado: infatti è santo eremita, francescano e
pellegrino. Ed è infatti sempre in uno o più di questi
abiti che principalmente possiamo ritrovarne la riproduzione
a scopo devozionale. Sempre a Salsomaggiore, nella piccola e
più antica chiesa di San Bartolomeo, si conserva in una
nicchia dell’abside, la statua di San Corrado Confalonieri
in veste di pellegrino: appunto con bisaccia e bastone,
iconografia questa abbastanza inconsueta ma qui voluta in
questa ‘veste’ nel lontano primo 1700. La statua,
testimonia uno studio critico della chiesa e dei suoi
Registri, conserva questa statua dal 1700 e dedicata a San
Corrado piacentino, oltre che si specifica che fu acquistata
all’epoca in Francia.
Dicevamo
del quadro salsese: esso è dedicato a S. Giorgio che pesa
le anime, con alla sua destra S. Margherita martire ed alla
sinitra S. Corrado che con il libro dei Vangeli aperto tra
le mani, impetra la liberazione delle anime del purgatorio
che a lui si rivolgono. L’iconografia del santo richiama
proprio quella del taumaturgo: sulla spalla il Tau e
l’abito da eremita-penitente. La tela originariamente era
conservata nella ormai dimessa chiesa di Mariano tra le
prime colline, fu poi trasportata a Salsomaggiore e
conservata per qualche tempo nel grande Oratorio D. Bosco.
Da qualche anno è stata esposta, per l’opera del parroco
mons. Giacomo Bolzoni, nella chiesa Superiore di S. Vitale
per la pubblica venerazione, ed essendo questa imponente
chiesa sulla piazza posta dinanzi alle maestose Terme
Berzieri, è per buon periodo dell’anno osservata da
turisti e utenti termali.
E’ bello
poter fare questa importante analogia tra Noto e la terra
piacentina del Santo, che ci dimostra come nel territorio
appresso al Ducato farnesiano piacentino, cui questi luoghi
citati erano sottoposti, fosse venerato e orgogliosamente
tributato d’onori in immagini devozionali di forte impatto
emotivo.
Umberto
Battini
Agiografo
di San Corrado
nella foto:
il quadro (inizi XX sec.) con S. Corrado che intercede per le anime del
Purgatorio
e la statua (XVII sec.) di S. Corrado
Pellegrino entrambi conservati in Salsomaggiore Terme
(Parma)
la
tela è nella chiesa di San Vitale, la statua in quella di
San Bartolomeo
OMELIA
Tenuta
In
CALENDASCO
Da
Mons. Salvatore Guastella
Domenica
19 marzo 2000
Chiesa
Parrocchiale
In
occasione del
3°
Convegno Nazionale di Studi
In
Onore di S. Corrado Confalonieri
Piacenza
Auditorium Civico S. Ilario
“Fra
Corrado de Confalonieri
Santo
pellegrino ed eremita”
Alle
origini dei penitenti francescani
In
terra piacentina"
SAN
CORRADO CONFALONIERI nel
Romitorio di Calendasco (Piacenza)
matura
il desiderio di solitudine e di preghiera nell’avventura
umana
più
nobile,
quella
della circa di Dio e
come il
biblico Abramo lascia la sua terra piacentina,
va
pellegrino sino a Noto (Siracusa), la terra che gli ha
indicato il Signore.
Dio
disse ad Abramo: «ESCI dalla tua terra, dalla
tua parentela e dalla tua casa
verso
la terra che ti mostrerò» (Genesi XII 1);
«PRENDI
il tuo figlio Isacco e offrilo in olocausto
dove
io ti indicherò» (Gen. XXII 2).
Come
il patriarca Abramo, Dio ha chiesto al giovane cavaliere
piacentino Corrado, dopo l’increscioso episodio
dell’incendio durante una battuta di caccia, di separarsi
dal passato: “Esci dalla tua terra”! E
venne a Calendasco presso il Romitorio dove viveva una
piccola comunità di «poveri e servitori di Dio». Dopo il
periodo di formazione religiosa, il Signore lo chiama di
nuovo: questa volta gli chiede di separarsi anche dal suo
futuro - “offrilo in olocausto!” - perché il
giovane Corrado ponga la sua ‘sicurezza’ solo in Lui,
nel Signore, non nei confratelli né in quel sacro luogo
prescelto.
E
perché? Qual’è stata l’occasione, il motivo
contingente di cui si è servita la Provvidenza?
Comunque, il Signore chiede al giovane novizio di
distaccarsi anche da quell’amato Romitorio: «Corrado,
voglio che sia solo io la tua sicurezza; io il tuo Signore,
la tua unica scelta ed eredità»!
Prima
di lasciare Calendasco, il superiore del Romitorio, fra
Aristide, prega con lui e così lo benedice: «Frate
Corrado, in nome di nostro Signore Gesù Cristo ricevi
questo bordone di pellegrino, sostegno per il tuo viaggio e
le tue fatiche durante il cammino. Ricevi questa scarsella e
questa viéra affinché, trasformato e purificato, tu possa
meritare di arrivare alla meta dove desideri giungere» (dal
‘Liber Sancti Jacobi’).
E
per la via romea francigena Corrado giunge a Roma
‘crocevia dei santi’. Nella Città Eterna gli si fa più
chiaro il progetto di venirsi a stabilire in Sicilia, in
mezzo a gente sconosciuta. Ma già, forse, sono stati quei
“poveri e servitori di Dio” del Romitorio di Calendasco
ad indicargli la Sicilia come il luogo dove trovare
tranquillità e protezione per il suo progetto eremitico.
Comunque, Noto diverrà la sua definitiva seconda patria, il
luogo scelto dal Signore per condurlo alla santità. Qui,
nella grotta dei Pizzoni, frate Corrado piacentino vive
quello stesso carisma eremitico di Calendasco: cioè il
silenzio, la preghiera e qualche confratello; doni che egli
ha compreso dover vivere ogni giorno con lo stesso spirito
di distacco ascetico che Dio aveva chiesto al patriarca
Abramo.
«Offri
in olocausto»! Tutta la vita eremitica del nostro Santo è
‘sacralizzata’ dalla totale obbedienza filiale al
Signore a servizio di ogni fratello.
Ci
accompagni nella vita la Provvidenza di Dio e la benedizione
di San Corrado.
Salvatore
Guastella
Calendasco, domenica 19 marzo 2000
Gruppo di devoti davanti al romitorio e hospitale di
San Corrado
il giorno dopo il 3° Convegno sul Santo,
in prima fila, 4° da sinistra, mons. Salvatore Guastella, a
fianco l'Arciprete di Calendasco di allora
mons. Carlo Maria Ossola, 4° da destra p. Gabriele
Andreozzi TOR francescano;
mons. Guastella, mons. Ossola e padre Andreozzi TOR
furono alcuni tra i relatori del Convegno
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