LA “VITA BEATI CONRADI” DEL
SEC. XIV
Il primo documento è la “Vita Beati Conradi”, in vernacolo
siciliano, manoscritto anonimo della seconda metà del trecento, subito
dopo la morte del santo.
E’
la fonte più antica e preziosa, anche se non se ne conosce l’autore.
La critica moderna dimostra che il suo autore non fu Eugenio Guiti,
presunto confessore del santo, né fra Michele Lombardo, suo compagno
nella vita eremitica, ma un devoto di lui “semplice e sincero, che
scisse fatti a lui contemporanei”.
Il primo passo che ci interessa, tradotto dall’originale siciliano,
suona così:
«E vedendosi messer Corrado nudo delle
cose del mondo, gli venne in cuore di andare a servire Dio. E riconciliò
la sua famiglia e la raccomandò a Dio ed egli d’altra parte se ne andò a
servire Dio. E messere Corrado pervenne dove c’erano poveri e servitori
di Dio ed egli narrò il fatto a loro dicendo che voleva servire Dio;
quelli lo ricevettero volentieri per un certo tempo e intorno a pochi
giorni lo vestirono e gli mostrarono la via che doveva tenere e l’opera
che doveva fare. Ed essendo ammaestrato egli partì».
Che qui si tratti dell’ammissione ad
un ordine religioso è evidente. Ma a quale ordine? Non si dice, ma non è
difficile indagarlo, seguendo passo passo le parole del testo.
Rimane in primo luogo fuori dubbio che
non si possa parlare di San Corrado come di un “eremita irregolare”,
tanto precise sono le norme, descritte dal nostro Anonimo, che furono
seguite per la sua ammissione all’ordine. Un eremita irregolare sarebbe
stato considerato un abusivo e, non potendo esibire il diploma di
eremita, rilasciato dalla competemte autorità della Chiesa, non arebbe
potuto questuare né assumere la custodia di una cappella, di un cimitero,
di un eremo.
Un eremita irregolare sarebbe stato un
solitario. Invece Corrado ebbe e desiderò avere sempre dei compagni
negli eremi. Così nell’eremo piacentino, così alle Celle e ai Pizzoni di
Noto.
Il primo gesto di Corrado fu la
riconciliazione: con la sua famiglia che aveva mandato in rovina e con i
proprietari dei luoghi incendiati. Proprio come prescriveva la «Regola
dei Fratelli e delle Sorelle dell’ordine dei frati della Penitenza»,
approvata nel 1289 da Niccolò IV, dove si leggeva al cap. II che chi
voleva essere ammesso, doveva innanzitutto “restituire la roba altrui…
riconciliarsi con i prossimi”.
Tanto era importante la riconciliazione che il capo VI della stessa
regola disponeva che si facesse tre volte l’anno, a Natale, a Pasqua e a
Pentecoste, in coincidenza con la confessione e la comunione.
La frase “servire Dio”, che non si legge nella Regola di Nicolò IV, era
però contenuta nel
Memoriale propositi,
che fu la prima regola dei penitenti e prima ancora nelle due lettere di
San Francesco ai penitenti, nella prima delle quali si diceva che è cosa
amara costringere il corpo a
servire Dio, il che
veniva ripetuto nella seconda.
A ciò si aggiunga che le più antiche bolle papali identificavano
l’appartenenza all’ordine della Penitenza con l’impegno di
servire Dio:
“quicumque ad Dei servitutem accedit… (Bolla “Detestanda” di Gregorio
IX, del 1 aprile 1228); i penitenti erano detti “Domini servos” (Bolla “Nimis
patenter” del 26 maggio 1228) e la loro vita era una “servitium
Creatoris” (Bolla “Cum illorum” del 2 agosto 1229).
«Riconciliazione» e «servizio di Dio» furono infatti i due primi passi
che fece Corrado dopo la sua conversione. Risulta ben chiaro dalla
“Vita” che il servire Dio non era soltanto un impegno personale per
Corrado, ma era già da sempre l’impegno comunitario della fraternità
eremitica, che l’aveva accolto, composta di “Poveri e servitori di Dio”.
Brano estratto alle pag. 29-30 dal volume di Gabriele Andreozzi
San Corrado Confalonieri, Eremita
Terziario francescano
con una presentazione di Salvatore
Guastella
editrice Alveria, Noto 1993
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