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tela di Corrado Malfa, artista netino
Il quadro, che
è in onore da decenni presso la sede dei Fedeli e Portatori di
San Corrado ,
raffigura il Santo Patrono di Noto mentre prega devotamente con
la corona del Rosario in mano, lungo il viale dell’orto nei
pressi della sua grotta dei Pizzoni. Il quadro, “dono di
Giuseppina Battaglia Rizzo di Alessandro”, è stato dipinto
dall’artista netino Corrado
Malfa,
e si trovava inizialmente presso
l’eremo della Madonna della Provvidenza a Noto Antica e poi
nella chiesa di Santa Caterina. Il quadro non è datato.
“San
Corrado che recita il Rosario” è davvero una icona
esemplare della spiritualità mariana e sintesi edificante
del culto filiale del Santo Patrono verso
la Madonna.
San
Corrado insegna a pregare
Nella Vita di
San Corrado leggiamo il seguente episodio. Un giorno, un
operaio netino riceve in casa la gradita visita del Santo suo
amico, gli bacia la mano e gli chiede: ‘Compare,
insegnatemi una buona preghiera’. E fra Corrado, sorridendo,
gli risponde: ‘La migliore preghiera che tu possa fare è
recitare il Padre Nostro e l’Ave Maria’. Il Rosario è la
preghiera giusta per i momenti cruciali della vita; è una specie
di sacramento del quotidiano, perché possiamo riconoscervi
la nostra vita, fatta di piccoli grani sempre uguali, ma tenuti
insieme dal filo dei misteri che danno loro significato e
coerenza. I Misteri della vita di Cristo, nelle sue varie tappe,
entra nel tessuto della nostra esistenza di ogni giorno e la
riscatta dalla vanità, dalla banalità, ancorandola all’eterno.
Se valutassimo la realtà con sguardo meno superficiale, ci
accorgeremmo che la vita è tenuta insieme, non tanto dallo schotch
delle nostre ambizioni e velleità, quanto da una modesta corona
di azioni ripetute con uno spirito sempre nuovo.
Sin
dall’infanzia Corrado si rivolge alla Madonna
Corrado dove
attinse e come ha alimentato il suo amore e il culto verso
la Madre
di Dio? Innanzitutto in famiglia, la prestigiosa famiglia
piacentina dei Confalonieri, di stretta osservanza cattolica. Tra
i suoi antenati ricordiamo Lantelmo Confalonieri,
vessillifero del vescovo di Piacenza, che partecipò alla 1^
crociata e
la Beata Adelasia Confalonieri, badessa di San Siro.
Per Corrado,
come per ogni bambino cristiano, la preghiera iniziava ad assumere
concretezza già quando gli veniva presentata
la Madonna
come oggetto di venerazione. E lui si confidava con lei, le
affidava tutto ciò che non riusciva a controllare, pregandola di
intervenire. Già comprendeva che quanto gli veniva vietato
sarebbe dispiaciuto alla Madonna. Dal momento che si sentiva
protetto da Lei, imparava a sentirsi protetto anche dal suo divin
Figlio Gesù e dal Padre Celeste. Corrado ha conservato per tutta
la vita, nella preghiera, qualcosa di questa esperienza che resta
sempre viva: la sua concretezza. Concretezza cristiana,
attinta alla scuola di Maria, che lo fece decidere a scagionare
l’innocente condannato per la sua giovanile imprudenza quando,
durante una caccia, aveva
appiccato il fuoco per stanare la selvaggina dal bosco.
Dalla
conversione ascetica alla vita eremitica - Dall’inizio
della sua conversione ascetica alla vita eremitica, Corrado si
rivolge fiducioso alla Madonna per poter superare i non lievi
ostacoli che si frappongono al suo disegno di donazione totale a
Dio e ai fratelli, e implora la grazia di riuscire a lasciare
tutto per il Tutto. Egli esce e va
nella vicina Calendasco, dov’è il romitorio dei poviri
et servituri di Deu e veste il saio di penitente. La devozione
mariana di Corrado ha trovato poi favorevole e stabile alimento
nell’ambiente socio-religioso di Noto “undi chi avìa multi
boni homini et devoti persuni. Et li gitadini di la terra di Nothu
àppiru grandi consolacioni di quistu homu, ki parìa homu di bona
et honesta vita”. Su indicazione dell’amico Giovanni Mineo,
per un certo periodo fra Corrado vive nelle ‘celle’
all’ombra del santuario cittadino di S. Maria del Crocifisso.
Poi il Santo si
trasferisce alla grotta dei Pizzoni, dove vive in preghiera e
penitenza, largo di aiuti e di consigli spirituali,
d’intercessione, di profezie e di miracoli. Corrado intensifica
così il dialogo interiore con
la Madre
celeste. Il 19 febbraio 1351 nell’estasi, Corrado, sciolto dai
legami terreni, poté vedere nello splendore del Paradiso la
celeste Madre che tanto aveva amato e fatto amare su questa terra.
I pellegrini e
devoti che, da secoli, si recano al Santuario di S. Corrado di
fuori, intravedono nella ampia nicchia della parete rocciosa della
santa grotta le tracce deteriorate di un affresco del sec. XVI,
raffigurante – a detta degli storici del pio luogo –
la Vergine
col Bambino fra i Santi Aquilino e Corrado
L’artistica
Arca d’Argento (sec. XVI) di forma rettangolare, che racchiude
il venerato Corpo di San Corrado ed è custodita nella cattedrale
di Noto, reca in uno dei lati minori i bassorilievi della Madonna
Annunziata e dell’Arcangelo Gabriele.
San Corrado e
la Madonna
resta un binomio inscindibile!
Sac.
Salvatore Guastella
LA DEVOZIONE DI CALENDASCO
Con il Registro titolato “Salario
Laicale detto Legato di San Corrado” iniziato “la prima
settimana di gennaio 1857”, conservato nell’Archivio della
parrocchiale, continuazione di altri più antichi registri, prima
di iniziare la segnature delle sante messe celebrate all’altare
di San Corrado, si riporta per mano dello stesso parroco Arciprete
Don Giovanni Brugnoni un breve riassunto storico che merita di
essere presentato per intero e che così recita:
“Il Conte Gio.Battista Zanardi-Landi con atto di Gianfrancesco
Notaio da Parma in data 9 agosto 1617 fondava il Legato di San
Corrado incaricando il Parroco pro Tempore di Calendasco, di
celebrare la messa in un giorno d’ogni settimana dell’anno,
all’altare di S. Corrado, senz’obbligo di applicazione, ma
solo d’una commemorazione per l’anima sua, nel Memento dei
morti; e di far celebrare tre messe, pure senza applicazione, nel
giorno 19 febbraio d’ogni anno, festivo di S. Corrado. In
compenso il Parroco percepisce annue lire Trenta vecchie, più un
paja capponi pel dì 11 novembre; queste 30 lire Imperiali
corrispondono a Lire nuove Sette e C.mi Tredici. Restando gravati
di questo onere gli eredi, e successori del predetto Sig. Conte
Zanardi-Landi.
Al Conte Zanardi-Landi in progresso di tempo successe il Conte
Giovanni Scotti, il quale a sua volta ebbe a successori il Sig.
Marchese Vincenzo di Piombino per 3/5, e la Sig.ra Contessa
Felicita Salvatico ed a questa successe il Sig. Francesco Grassi
di Piacenza per 2/5. L’Arciprete Don Giuliano Guglieri nel dì
24 Novembre 1824 assicurava questo Legato con ipoteca sui fondi
del Sig. Marchese Piombino a Calendasco per tre quinti della somma
capitale cioè Lire 119,88; e per due quinti cioè Lire 79,92 sui
fondi del Sig. Grassi.
In processo di tempo al Sig. Marchese Piombino e Grassi successero
i Sig. Avv. Vincenzo Anguissola e Cav. Giuseppe Anguissola e
quindi i rispettivi figli, i quali non riconoscono più detto
Legato che da molti anni non è soddisfatto in quanto alla
compensazione dovuta al Parroco il quale ne continua però sempre
da parte sua l’adempimento.
Il Sig. Avvocato Nob. Lancellotto Anguissola fu Avv. Vincenzo dà
ogni anno per S. Martino un paja capponi…” seguono alcune
altre righe purtroppo consunte ed illeggibili.
IL BORDONI STORICO INSIGNE
Il francescano e storico Bordoni nel 1658 pubblicò il Chronologium
Tertii Ordinis S. Francisci, manoscritto in più fogli che si
conserva in Parma, e al dì 19 febbraio riporta la Vita di S.
Corrado Piacentino: “ F. Corrado Piacentino della famiglia de
Confalonieri naque di parenti nobili l’anno 1290, che l’instrussero
ne costumi christiani, e li diedero per moglie una gentildonna
Lodeggiana per nome Eufrosina filia di Nestore. Corrado per esser
molto dedicato alla caccia, andò un giorno in campagna, e fece
dan foco a certi boschi... Corrado tocco nel core dal Spirito
Santo, rifatti i danni dati, collocata la moglie in monastero,
abbandonò in tutto il lusinghero mondo, partendosi da Piacenza più
povero di quel meschino che liberò dalla morte, se n’andò a
Gorgolaro loco sul Piacentino remoto dalle genti, dove era un
Romitorio, nel quale habitavano cinque frati del Terz’Ordine di
S. Francesco, che ivi a Dio seminano, recitando i deccini officii,
facendo astinenze, digiuni et altre opere pie... Riavuta donqi la
benedittione del suo superiore (padre Aristide) l’anno 1316 si
partì da Gorgolaro a piedi sempre senza danari, peregrino verso
Roma...” e quindi giunto a Noto in Sicilia, alla fine viene
indirizzato a “certe grotte in luogo detto li Pizzoni vicino ad
un fiume, et lontano dalla città solo tre miglia... Non solo
Leone X ma ancora Paolo III et finalmente Urbano VIII informati
delli molti miracoli che fa questo Beato concessero quelli di
poter celebrare la sua festa in Noto, in altre parti della
Sicilia, et a Piacenza sua patria, e questo ancora, che se ne
possi far l’officio da tutti gli ordini Francescani, e noi per
esser del nostro ordine professo, ne facciamo l’officio doppio
maggiore, con le nostre monache...”.
I
Netini di Roma celebrano il Santo Patrono
nella
basilica dei Santi Cosma e Damiano
(23 febbraio 2008)
/ omelia i n e d i t a
/
San Corrado Confalonieri
pellegrino di pace
Nato in quel di Piacenza nel 1290
circa dall’illustre famiglia Confalonieri, il giovane
cavaliere Corrado conquista la stima di tutti per il suo
comportamento leale. L’equilibrio psico-spirituale da lui
raggiunto con quotidiano sforzo di giovane onesto è culminato
nel superamento eroico dell’imprevisto capitatogli durante una
battuta di caccia. Essendo stato condannato a morte un
malcapitato innocente, Corrado si interroga: “E morrà
quest’uomo per il male fatto da me? L’autore involontario
dell’incendio sono io”! Perciò si costituisce, lo scagiona,
confessa la sua imprudenza e si obbliga a risarcire i danni.
Davvero l’uomo è se stesso nella misura in cui è capace di
compromettersi per chi soffre la fame, l’ingiustizia, lo
sfruttamento o l’insicurezza. Corrado Confalonieri col suo
gesto spontaneo in favore di quell’innocente malcapitato ha
proclamato che Cristo è in coloro che ci stanno attorno e che
hanno bisogno – nella famiglia o sul lavoro - del nostro amore
e testimonianza che ci fa riconoscere discepoli di Cristo.
Carattere adamantino, il giovane piacentino non si deprime ma
accetta con coraggio la nuova realtà, anzi l’assume per un
nuovo progetto di vita. Così il rinnovamento ecclesiale
nell’Europa del secolo XIV lo coinvolse e lo ha visto
protagonista nel carisma francescano.
La “Vita Beati Corradi” (codice cartaceo del sec. XIV) lo
indica pellegrino di pace. Infatti, dopo l’esperienza
traumatica dell’incendio involontario, a Corrado “venni in
cori di andare a serviri Deu” e“pervinni undi havia poveri
et servituri di Deu” (nn. 51 e 56). Lascia, infatti, Piacenza
e va in un luogo che la tradizione indica nel ‘romitorio del
Gorgolare’ per la sua vicinanza del rivo Calendasco o
Macinatore, che alimentava tre mulini. Là compie il noviziato e
trascorre un certo tempo, maturando il desiderio di solitudine e
di preghiera.
Nel 1322 il giovane Corrado lascia definitivamente la terra
piacentina per andare – come il biblico Abramo (cfr. Gen XII
1) – nella terra che il Signore gli mostrerà. Prima di
partire, fra Aristide, superiore del romitorio di Calendasco
prega per lui e così lo benedice: “Fratel Corrado, in nome
del Signore ricevi questo bordone dal manico curvo, a sostegno
durante il cammino di pellegrinaggio; ricevi questo tascapane e
questa conchiglia, segni del tuo pellegrinare, affinché,
trasformato e purificato, tu possa meritare di arrivare alla
meta dove desideri andare” (dal ‘Liber Sancti Jacobi’).
Inizia così il suo itinerario di ‘solitario’ con un
pellegrinaggio a Roma, nello spirito della ricerca di Dio.
Eccolo nella via romea solo, sconosciuto, senz’altra
previsione che una fiducia illimitata in Colui che veste i gigli
del campo e nutre gli uccelli dell’aria (cfr. Mt VI 28),
chiuso in un ruvido saio e appoggiato al suo bordone di
pellegrino. Il sacco pesa, i sandali e i ciottoli della strada,
la sete e la fame lo attanagliano, l’anima però a poco a poco
spicca il volo, dato che non c’è vero pellegrinaggio senza un
minimo di ascesi. Corrado fa onore semplicemente e gioiosamente
al pasto frugale che un’anima caritatevole gli offre ad una
tappa, riservandosi di far penitenza, per virtù o per necessità,
alle tappe successive. Accolto dagli uni come rappresentante di
Cristo, da altri sarà scacciato come intruso scroccone; ma egli
riceverà con la stessa francescana letizia e umiltà le buone e
le cattive venture del cammino. L’esperienza del
pellegrinaggio anche per il nostro Santo è una meravigliosa
scuola di semplicità e di abnegazione, di povertà e di altre
virtù basilari di cui il mondo ha sempre bisogno.
Il fenomeno della mobilità umana gli esperti lo definiscono
partendo dalle diverse manifestazioni e caratteristiche che esso
assume nella vita. Chi lascia la propria patria per andare in
cerca di un mezzo di sussistenza è detto ‘emigrante’; chi
si mette in viaggio per riposare e rilassarsi è chiamato ‘turista’;
chi non ha fissa dimora e vaga in cerca d’indipendenza e
libertà è un ‘nomade’. ‘Pellegrino’ è detto colui che
cammina verso l’Assoluto, perché affamato e assetato di Dio.
E’ chiamato ‘turismo religioso’ il movimento del
pellegrino che si mette in cammino con Dio lungo le strade del
mondo (come i discepoli di Emmaus in ascolto della Parola di Dio
lungo la via). Invece è detto ‘pellegrinaggio in senso
stretto’ il movimento del pellegrino, il quale con il mondo va
verso Dio, perché è come l’ascesi ‘verso il tempio santo
di Dio’.
“Mentre il vero pellegrinaggio nasce da una decisione
essenzialmente di ordine interiore-spirituale, orientato cioè
al conseguimento di traguardi inerenti alla fede e alla pratica
di fede, alla conversione personale e alla vita di grazia con
gesti concreti di solidarietà e condivisione; invece il turismo
religioso fa leva su prevalenti aspetti culturali, amicali e
ludici con forti tonalità soggettive o di gruppo di
appartenenza e con obiettivi che si incrociano e si annullano,
per accontentare bisogni differenti” (Nicolò Costa, in Luoghi
dell’infinito, VII-VIII 1989, p.6). Comunque, ambedue i
movimenti – il pellegrinaggio in senso stretto e il turismo
religioso – entrano di diritto nell’ambito dell’azione
della Chiesa, perché ogni pellegrino si reca in un santuario,
chiesa o luogo di culto “per un peculiare motivo di pietà”
(Codice di Diritto Canonico, can.1230).
E il pellegrino Corrado rimane a Roma? No, ma nella Città
eterna egli matura la sua vocazione eremitica. Infatti – come
sottolinea il citato codice del sec. XIV – “per meglio servìri
a Deu sindi vinni in Sichilia” e sceglie Noto (Siracusa), dove
vive di carità, povero tra i poveri. A chiunque va a trovarlo
alle celle della chiesa del Ss. Crocifisso e, poi, nella grotta
dei Pizzoni per chiedergli intercessione di grazie, per
esprimergli ammirata gratitudine o per mettere alla prova la sua
santità, tutti accoglie con volto sorridente, evangelizza, è
largo di aiuti e di consigli spirituali, di intercessioni e di
miracoli.
Il nostro Santo Patrono si fa missionario itinerante tra il
popolo netino, ogni qualvolta che dalla sua grotta dei Pizzoni
scende in città.
Ø Lo ammiriamo paziente e paterno col figlio di Vassallo:
“Questa metà di formaggio è di tua madre [la quale non
avrebbe voluto farmelo avere intero] e questa metà è di Gesù
Cristo”;
Ø affabile con l’amico operaio e padre di famiglia: “Siano
benedette queste mani che alimentano tante creature”,
Ø umile e premuroso con il suo vescovo di Siracusa, che
accoglie nella sua grotta col pane caldo del miracolo: “Signor
vescovo, non sono quello che voi pensate, perché io sono
peccatore”;
Ø resta grato con chi lo invita a mensa: “Dio rimeriti la
vostra anima per la carità” ;
Ø catechista con un altro operaio che lo incontra, gli bacia la
mano e gli chiede: “Compare, insegnatemi qualche preghiera”,
e fra Corrado gli insegna la recita del Padre Nostro e
dell’Ave Maria. Il saluto abituale verso quanti egli incontra
per le vie di Noto è: “Fratello/Sorella, abbi tu pace”!
Prossimo alla fine, quel 19 febbraio 1351 così prega:
“Onnipotente Dio, ti raccomando l’anima mia e di ogni
creatura… Signore, stendi la tua mano e dammi aiuto”.
Fioriscono subito le grazie ottenute per la sua intercessione e
la devozione popolare cresce, soprattutto dopo la ricognizione
canonica del suo corpo trovato incorrotto nel 1485. Papa Leone X
il 12 luglio 1515 delega il vescovo di Siracusa ad istruire il
processo informativo e proclamarne ‘per delegatum’ il culto
come Beato; mandato apostolico eseguito nella chiesa madre
dell’antica Noto il 28 agosto 1515 dal suo vicario generale
Mons. Giacomo Umana, netino e vescovo titolare di Scutari.
Urbano VIII nella bolla del 12 settembre 1625 lo chiama
“Santo” e ne stende il culto all’Ordine Francescano nel
mondo. L’arca d’argento con il corpo di S. Corrado è in
venerazione a Noto in Cattedrale.
Piacenza, Roma, Noto, …e l’Ordine Francescano hanno in San
Corrado Confalonieri un faro luminoso di santità operosa. Egli
- da vero uomo di pace e testimone di Cristo Risorto - tutti ci
guida e sostiene.
Inseriti ormai nell’unità europea, il nostro Santo Eremita
Piacentino ci sprona ad essere, anche come cristiani, operatori
di pace nel nostro ambiente.
Mons. Salvatore Guastella
domenica 9 agosto 2009 Cattedrale di Noto
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